Una coperta militare, di quelle in uso all’esercito, accanto al corpo di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso al Cairo il 25 gennaio scorso. E’ il dettaglio inedito raccontato oggi da Repubblica. Una traccia lasciata da chi, all’interno degli apparati egiziani, ha deciso, “per vendetta”, di offrire un’indicazione sulle responsabilità dell’omicidio. Prova indiziaria di una vera e propria “faida tra servizi” che potrebbe spiegare la morte del dottorando italiano, torturato e assassinato mentre si trovava in Egitto per fare ricerca sul sindacato. Repubblica cita un documento anonimo ma molto dettagliato recapitato all’ambasciata italiana in Svizzera. Sarebbe un tentativo, non il primo, di una qualche fonte egiziana di far filtrare notizie bypassando il regime. Il documento, scritto in lingua araba, è già nelle mani della Procura di Roma.

A quanto riferisce il quotidiano il dossier ricostruisce tutto l’arco delle operazioni di intelligence che hanno accompagnato Regeni fin dal suo arrivo in Egitto. Su di lui il servizio di Sicurezza Nazionale aveva aperto il fascicolo 333//01, anno 2015. Supervisore, il generale Salah Hegazy. Su Regeni c’è un’intera squadra al lavoro che raccoglie informazioni, il fascicolo col suo nome si ingrossa col passare dei giorni: le foto scattate a Regeni nel corso di un’assemblea sindacale l’11 dicembre 2015, una visita, sempre a dicembre, di un ufficiale della Sicurezza Nazionale nell’abitazione di Giulio, nel quartiere di Dokki e una telefonata dello stesso ufficiale del Servizio al coinquilino di Giulio pochi giorni dopo il suo sequestro.

Fino a quando le accuse nei confronti di Giulio non vengono così formalizzate. “Spionaggio per conto di Italia e Gran Bretagna. Istigazione ad assassinare il presidente della Repubblica e autorevoli personalità dello Stato. Istigazione al sabotaggio e lo sciopero al fine di bloccare il ciclo produttivo. Manipolazione dell’immagine e dell’azione operaia in Egitto”. In pratica, la sentenza di morte. Ma tocca capire se e come eseguirla. E qui si sarebbe aperta la “faida” tra servizi. Il 19 dicembre del 2015, il generale Salah Hegazi viene rimosso dall’incarico di Capo della Sicurezza Nazionale e sostituito dal generale Mohammed Shaarawi. Pagherebbe due colpe. La pigrizia con cui ha gestito il fascicolo Regeni, ma soprattutto la decisione di sollevare dall’incarico il maggiore che ha scoperto il contatto tra Giulio e un ragazzo che del generale è parente.

La pratica viene trasferita dalla Sicurezza Nazionale alla direzione dei Servizi segreti Militari, sotto il controllo del generale Mahmud Farj al Shihat detto “il Boia“. Che si mette al lavoro su Giulio che, ignaro, è in Italia per le vacanze di Natale. Al Cairo, scoppia l’inferno tra la Sicurezza Nazionale e i Servizi Militari, che ormai “si contendono il giovane ricercatore italiano come un trofeo che dà corpo a tutte le paranoie del regime”, scrive Repubblica. Il ministro dell’Interno Abdel Ghaffar entra nella contesa con una lettera inviata ad Al Sisi (di cui il dossier riporta quello che ne sarebbe il testo), denuncia il “trasferimento illegale della pratica”, l'”umiliazione” della Sicurezza Nazionale e del suo lavoro che “ha consentito di sollevare il coperchio sul ragazzo italiano e sulla rete cospiratrice a cui era collegato” e chiede che il caso le venga restituito.

Le cose vanno diversamente. I Servizi Militari sequestrano Giulio la sera del 25 gennaio sulla riva destra del Nilo. Morirà nella tarda mattina del 3 febbraio. I servizi militari ordinano a quelli della sicurezza nazionale di seppellire il cadavere per disperderne le tracce. Ma questi disobbediscono, forse proprio con l’intento di rivelare quanto accaduto, in danno del loro “nemico interno”. E fanno trovare il cadavere in un luogo diverso. Accanto, quella coperta in uso all’esercito abbandonata a mo’ di indizio e firma del delitto.

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