A tre settimane dal referendum sulla Brexit, gli euroscettici tornano in testa. Secondo un sondaggio realizzato da Icm per il Guardian tramite telefono e online, i cittadini britannici favorevoli all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sono il 52%, mentre i pro Ue si fermano al 48%. Tuttavia la media dei sondaggi continua a dare in vantaggio gli anti-Brexit, al 46%, rispetto agli euroscettici al 43%, sebbene con un margine ridotto oggi da 5 a 3 punti.

Determinante nella riconquista di consensi della campagna Vote Leave è la polemica sull’immigrazione che da giorni domina il dibattito in vista del voto sul futuro della Gran Bretagna nell’Ue. Promettendo un sistema ”più giusto e umano”, due dei principali leader del fronte euroscettivo, l’ex sindaco di Londra Boris Johnson e il ministro della Giustizia Michael Gove, lanciano un nuovo attacco con l’idea di introdurre un meccanismo a punti per tutti gli immigrati, come in Australia, con cui controllare e limitare fortemente gli ingressi nel Paese, restringendoli, fra l’altro, a chi può già contare su una offerta di lavoro.

Secondo i due esponenti euroscettici è necessario, con l’uscita del Paese dall’Ue, abbandonare il principio di libera circolazione che ha colpito i salari dei britannici e pesato troppo sui servizi pubblici nazionali. Johnson intanto intima agli stranieri di imparare l’inglese se vogliono trasferirsi nel Regno. Mentre la campagna pro Ue cerca di rispondere all’offensiva di Vote Leave. Il sindacato Tuc pubblica uno studio dal quale emerge che in caso di divorzio da Bruxelles i salari subirebbero una riduzione in media di 38 sterline a settimana entro il 2030.

Anche l’Ocse mette in guardia i britannico sulle conseguenze della scelta. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, una eventuale uscita del Regno Unito dall’Unione Europea provocherebbe “un forte choc negativo all’economia britannica” con un calo del Pil che nel 2018 potrebbe attestarsi fra l’1,25 e l’1,5%, scrive l’Ocse nel suo Economic Outlook.

“Nell’attesa del referendum – sottolinea l’organizzazione – i mercati finanziari hanno iniziato sempre più a mettere un prezzo sul possibile rischio Brexit, con un deprezzamento della sterlina e un aumento dei premi sul rischio di una serie di tipologie di asset”. Un voto favorevole all’uscita, aggiunge l’Ocse, “porterebbe nelle nostre previsioni un’aumentata incertezza, riduzione della fiducia e avrebbe come risultato una serie di shock sui mercati finanziari in Gran Bretagna e nelle altre economie europee”.

L’Italia, in particolare, è tra i Paesi europei “relativamente meno esposti in modo diretto alla Gran Bretagna”, e dovrebbe subire un impatto inferiore ad altri, con legami più rilevanti, come Irlanda, Olanda e Lussemburgo. L’impatto sul Pil italiano di un’eventuale Brexit sarebbe quindi limitato a una contrazione dell’1% circa, provocata per lo 0,4% dallo shock sulla Gran Bretagna e per lo 0,6% da quello sull’Europa. Sul fronte finanziario, l’Italia dovrebbe subire uno shock “tra un quinto e un quarto” di quello subito dalla Gran Bretagna, “con primi sul rischio per investimenti e azioni incrementati di 40 punti base al loro picco e lo spread dei tassi d’interesse di 20 punti base”.

Anche le agenzie di racing tracciano scenari difficili. Un voto a favore della Brexit a lungo termine “potrebbe paralizzare gli investimenti nelle società inglesi e in quelle europee esposte alla Gran Bretagna”. L’allarme arriva da Standard&Poor’s a poche settimane dal voto che nell’immediato minaccia, in caso di vittoria del ‘sì’, di creare volatilità sui mercati “incluso un forte deprezzamento della sterlina”.

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