Mai come oggi dovrebbe volare, ma non ce la fa. Nel motore di Piaggio Aerospace c’è tanta sabbia che quasi smette di girare. Arriva dalle dune di Abu Dhabi, passa attraverso il management italiano, e si deposita sugli ingranaggi grazie all’inerzia del governo che, in ossequio agli investitori arabi, non esercita i suoi poteri di intervento e controllo su un’azienda che ha dichiarato strategica per decreto, mettendola sotto l’ombrello della cosiddetta “Golden Power”. Lo stallo viene pagato soprattutto dai lavoratori e su quello s’infila anche un ricatto sottile: se lo Stato non mette mano al portafogli rischia di ritrovarsi con la flotta aeronautica a terra, Frecce Tricolori comprese.

L’azienda ligure, strategica per lo Stato, ma interamente controllata dagli arabi del fondo sovrano Mudabala, attraversa una profonda crisi di liquidità legata allo sviluppo del suo punto di forza, il drone P1HH che ha segnato il suo ingresso nel mercato della difesa e della sicurezza. Costi, tempi e complessità del programma, benedetto a più riprese da Renzi, si sono rivelati molto lontani da quelli prospettati al governo e agli stessi azionisti emiratini che per tre volte hanno bocciato il nuovo piano industriale cui è appeso il destino dei 1260 dipendenti, parte dei quali è in cassa integrazione da due anni e non ha garanzie sul suo rinnovo oltre la scadenza, segnata al 21 luglio. Dopo vari rinvii, martedì prossimo è convocato il tavolo di crisi al Mise ma, in assenza di quel piano, rischia di essere andare a vuoto. In una nota l’azienda parla genericamente di un “piano in corso in revisione” che verrà diffuso “appena sarà possibile comunicare un percorso chiaro e definito”. Un duro colpo per chi si aspettava buone notizie.

Giusto un anno fa l’ad Carlo Logli aveva indicato il 2016 come quello del ritorno agli utili dopo tre bilanci in perdita. E aveva anche aggiunto: “Entro la fine del 2015 consegneremo il primo velivolo” riferendosi al drone. Non sembra andata esattamente così. Cifre ufficiali non ce ne sono perché il bilancio 2015 non è stato ancora reso disponibile e Logli, benché contattato, non parla. Tuttavia il fatturato, previsto nel budget di inizio anno intorno ai 330 milioni, viaggerebbe intorno ai 200 milioni, a fronte di un buco di cassa che si aggirerebbe ormai sui 140. Per quanto riguarda il drone, il primo velivolo non è ancora arrivato negli Emirati, che ne hanno acquistati otto, e non si sa di preciso quando potrà essere consegnato. Insomma, la strada è tutta in salita.

Le sete di profitti arriva dal deserto e svuota le fabbriche
Una grossa mano, va detto, l’ha data la sete di profitti dell’azionista emiratino che ha spinto il management a concentrare investimenti e programmi intorno al settore della Difesa che è il business più promettente su scala internazionale, sempre che l’azienda riesca a svilupparlo. Nel 2015 è partita una robusta ristrutturazione produttiva con l’investimento di 500 milioni sul nuovo stabilimento di Villanova d’Albenga, dove si producono il drone P1HH, il pattugliatore con pilota MPA, il P180 per il civile di nuova generazione e il progetto di drone modificato P2HH. La produzione è stata spostata tutta quanta lì.

Per contro, sono stati svuotati i due poli storici di Genova Sestri Ponente e di Finale Ligure, con una tempistica poco efficace dato che il complesso trasferimento ha contribuito a compromettere i tempi dei progetti in corso, la motivazione dei lavoratori e la produttività del settore motori, che resta il salvadanaio dell’azienda. Piaggio ha infatti un fatturato certo dell’ordine di 50-80 milioni che gli deriva dalla manutenzione e revisione dei motori dell’Aeronautica italiana. “La Difesa è il nostro primo cliente ma a causa dei problemi di liquidità e della cassa integrazione a marzo e aprile hanno prodotto, revisionato e fatturato molti meno motori di quelli che potrebbero”, spiega Andrea Pasa della Fiom di Savona, in vista dell’incontro di martedì prossimo al Mise, dove i sindacati torneranno a chiedere garanzie al governo.

Al governo guardano anche gli arabi. Gli azionisti del fondo sovrano Mubadala non hanno alcuna intenzione di ricapitalizzare. Il loro interesse su Piaggio sembra sensibilmente attenuato dopo aver incassato dagli Usa la licenza a importare il Predator, prodotto concorrente al velivolo senza pilota progettato in Italia. Ad Abu Dhabi hanno assunto da tempo una linea attendista e addirittura spinto gli italiani all’estensione della cassa integrazione di cui parla Pasa, il cui solo scopo è costringere lo Stato italiano a metterci una pezza, non potendosi permettere di rimanere con la flotta aeronautica a terra.

Da mesi si discute intorno all’opzione Finmeccanica, oggi Leonardo, nel tentativo di forzare un suo ingresso in Piaggio. La società a controllo pubblico, tramite Selex, già fornisce all’azienda ligure l’elettronica di bordo per i droni in sviluppo e da lei vanta pure un credito per mancanti pagamenti di circa 100 milioni. L’ad Moretti ha dichiarato di non avere interesse a rilevare l’azienda, non è escluso però che finisca a fare da ammortizzatore sociale entrando nel capitale e azzerando quel debito.

Negli ultimi mesi, visto il precipitare della situazione, il Mise, ha velocizzato il pagamento degli arretrati e dei crediti esigibili. la Difesa ha anticipato il pagamento di alcune attività. La Regione ha messo a disposizione il finanziamento di oltre 3 milioni di fondi europei euro a titolo di investimenti, sviluppo e ricerca, sulla base del progetto presentato dalla Società nel 2014. Esauriti questi canali, altro non c’è.

L’inerzia del governo in ossequio agli arabi
Sul fronte governo, invece, è del tutto evidente la sua difficoltà a ingranare una chiara direzione di marcia. Nei primi due anni del suo mandato il premier Matteo Renzi ha molto corteggiato gli investitori del Golfo Persico che già detengono le leve di rilevanti interessi nazionali, dall’ex compagnia di bandiera Alitalia Etihad alle banche (Unicredit), il petrolio e quant’altro. Tanto da rasentare la genuflessione, come ha dimostrato la vicenda dei “nudi celati” in occasione dell’incontro Renzi-Rohuani in Campidoglio. Nello spalancare agli emiri le porte di Piaggio lo stesso governo ha avuto almeno cura di tenere aperto l’ombrello della “Golden Power”, versione annacquata della legge con cui l’Italia blinda capacità tecnologiche e industriali, continuità di produzione e management di aziende ritenute strategiche per alcuni settori, come sicurezza e difesa. Ma i poteri speciali sanciti dal decreto non vengono esercitati.

Tra le garanzie il decreto individua infatti “il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario di Piaggio Aerospace” e la “continuità produttiva” il cui perimetro non si limita ai nuovi progetti militari ma ricomprende espressamente la produzione, il collaudo e la manutenzione dei motori dell’Aeronautica, in forte ritardo per effetto della crisi di liquidità e della cassa integrazione. Come garante degli interessi nazionali sullo sviluppo dei droni Renzi e Pinotti hanno chiamato il generale Enzo Vecciarelli, oggi capo di Stato maggiore dell’aeronautica. Dalla Difesa precisano che il suo ruolo “è limitato allo sviluppo dei progetti innovativi”, mentre gli aspetti industriali dell’operazione sono rimasti appannaggio esclusivo degli arabi e del management.

In questo vuoto d’aria è avvenuto l’avvitamento di Piaggio attorno al drone che, anziché mettergli le ali, rischia di farla schiantare con tutta la sua storia, i suoi dipendenti e il suo valore di impresa strategica. Per questo i sindacati chiedono che stavolta, al tavolo, non ci siano solo tecnici ministeriali ma una figura politica di garanzia del governo che prenda impegni precisi e torni a metterci la faccia. Nel farlo, ricordano che il 7 novembre 2014 fu Renzi in persona, trascinandosi dietro mezzo governo, ad inaugurare il nuovo stabilimento Piaggio di Villanova D’albenga, spendendo parole di grande ottimismo e fiducia sul futuro dell’azienda e dei lavoratori. Da allora, però, lì non l’hanno più visto.

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