Lo so che non sta bene dirlo sui social, ma i social sono una cazzata da prendere alla leggera, sono un videogioco che, in certe menti labili, può generare allucinazioni e deliri di onnipotenza. Mi spiego meglio. Ci sono giorni che scrivo qualcosa, copio e incollo quattro righe citando #Oscarwilde, condivido la foto di uno struzzo che guarda House of Cards, il video dell’uomo più buono del mondo che uccide un toro a mani nude e tante altre belle cose, tipo i gatti e le donne di Modena con le ossa grandi. Bene, una volta fatto questo ottengo centinaia di “mi piace”, condivisioni, commenti e attestati di stima. Mi fa molto piacere, lo ammetto, ma sono sempre consapevole che questo non significa praticamente nulla. Ho semplicemente intrattenuto della gente che non aveva un cazzo da fare ed è passata qui da me a dire la sua. Punto. Di quello che abbiamo scritto, di quello che abbiamo detto, rimarrà poco e niente.

Questo sono i social network. Instant entertainment. Ricordate cosa scrissi del Bataclan? Ricordate di quando parlammo del referendum della scuola? Ricordate la serata che facemmo lo spettacolo “coi nostri soooldiiii” e quello che scrivemmo nei commenti? E quello che scrissi nell’agosto 2014? Niente, non è rimasto niente, proprio come quelle centinaia di volte che vi siete messi a chiacchierare coi vostri colleghi d’ufficio alla macchinetta del caffè tra un uichend e l’altro. Poi, se uno crede che aver tanti “mi piace” e tanti commenti (tipo questo post) abbia una certa rilevanza, beato lui. Se ne accorgerà quando organizzerà un evento e si presenteranno undici persone, delle quali due grazie ai social. E ci rimarrà male, perché non vuole accettare quello che è sotto gli occhi di tutti: avere tanti mi piace su Facebook è facile, far uscire la gente di casa è difficile. Per non parlare del provare a vendergli qualcosa, ma questa è un’altra storia e non mi interessa neppure.

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