A Telecom non è bastato mettere sul piatto il 100% della società dei cavi sottomarini Sparkle: nella gara per aggiudicarsi Metroweb la Cassa depositi e prestiti ha preferito comunque l’offerta di Enel, sponsorizzata dal premier Matteo Renzi. La società milanese della fibra, di cui Cdp ha il 46,2% attraverso il Fondo strategico italiano, finirà tra le braccia del gruppo dell’elettricità per 806 milioni, cifra più bassa rispetto agli 820 proposti il 9 maggio dall’ex monopolista delle tlc. Che aveva poi alzato ulteriormente la posta dicendosi disponibile a cedere il controllo della preziosa e strategica rete di cavi che passa sotto il Mediterraneo.

Secondo fonti finanziarie il consiglio di amministrazione di via Goito, i cui vertici sono stati sostituiti lo scorso anno per scelta del presidente del Consiglio, ha ritenuto che quella di Enel sia la proposta migliore perché offre “una prospettiva strutturale sulla banda larga” e prevede la presenza “stabile” di Cdp nell’azionariato. Al contrario Telecom, controllata dalla francese Vivendi di Vincent Bolloré (socio in affari di Silvio Berlusconi), era intenzionata a salire al 100%. La decisione, secondo le stesse fonti citate dall’AdnKronos, è stata “accolta con disappunto” dai principali soci e dai fondi internazionali azionisti di Telecom. “Pur a fronte di un’offerta finanziariamente e industrialmente migliore, è stato deciso di andare in esclusiva senza neppure due diligence”, si fa notare, parlando di “evidente scelta politica“. Azionisti e fondi di Telecom “incoraggiano il management ad andare avanti, in un confronto di mercato sulla tecnologia”.

Sempre mercoledì il cda della Cassa, presieduto da Claudio Costamagna e guidato da Fabio Gallia, ha approvato il bilancio di esercizio della capogruppo, chiuso con un utile netto di 892,9 milioni, e deliberato che al Tesoro andrà un dividendo di 683 milioni di euro. Il gruppo Cdp ha invece archiviato il 2015 con un maxi rosso di 900 milioni. E ora, come emerso nei giorni scorsi, si appresta a fare un altro favore al governo inglobando il 35% di Poste italiane: una partita di giro che consente a via XX Settembre di incassare circa 5,6 miliardi da contabilizzare alla voce “proventi da privatizzazioni” per accontentare Bruxelles senza però dover cercare acquirenti privati.

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