Zero trasparenza e costi fuori controllo. Riciclaggio di denaro sporco. Diocesi che investono in armi e nel porno. Prima della fumata bianca del 13 marzo 2013, la situazione finanziaria della Santa Sede era dominata da scandali, reati e privilegi all’insegna della celebre massima di monsignor Paul Marcinkus, dal 1971 al 1989 presidente dello Ior: “Non si può mandare avanti la Chiesa con le Ave Maria”. Con l’avvento di Jorge Mario Bergoglio sul trono di Pietro arriva la svolta all’insegna della trasparenza finanziaria che mina veri e propri tabù. Dalle polemiche per i mega appartamenti dei cardinali della Curia romana che vivono come dei “faraoni”, con l’attico di Tarcisio Bertone al centro di un’inchiesta vaticana in corso, al bilancio dello Ior, sottoposto a una radicale opera di pulizia con 5mila conti chiusi e pubblicato online, all’Imu per gli enti ecclesiastici che svolgono attività commerciali. “San Pietro – scandisce più volte Francesco – non aveva un conto in banca”. Ma, a ben guardare, Francesco è ancora a metà dell’opera.

Otto per mille, “rendiconti in rete: la gente deve sapere dove va” – L’ultima riforma all’insegna “della chiarezza e della trasparenza” riguarda la Cei con l’otto per mille. “I rendiconti parrocchiali – ha annunciato il cardinale Angelo Bagnasco – dovranno essere pubblicizzati. Non basta che siano pubblicati sui bollettini parrocchiali, ma devono essere messi in rete e bisogna anche precisare la provenienza di questi fondi. La gente deve sapere dove vanno a finire i soldi dell’otto per mille”. Lo scopo dei vescovi italiani, si legge in una nota ufficiale, è quello di attuare una “maggiore efficacia della trasparenza amministrativa”, come richiesto da Francesco: “Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”. Nel 2016 l’otto per mille è tornato a crescere superando il miliardo di euro contro i 995 milioni dell’anno precedente. La percentuale delle scelte dei contribuenti a favore della Chiesa cattolica è stata dell’80,91 per cento. “Le firme aumentano – ha sottolineato Bagnasco – ma cala il gettito che sarà ripartito nei prossimi anni”. I dati, infatti, si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi di tre anni prima, ovvero del 2013.

Spending review sull’Ordinariato militare –  Ma è in atto anche un altro ambizioso progetto di spending review che riguarda l’Ordinariato militare per l’Italia. Un taglio che ammonta a quasi metà del bilancio, ovvero a 4,5 milioni di euro su 10, con una diminuzione di 46 unità (dalle 204 previste a 158) e da una rilevante riduzione dei posti dirigenziali, cioè dei gradi militari più alti attribuiti ai cappellani. Attualmente, infatti, ne sono previsti ben 14: un generale di corpo d’armata, un generale di divisione, 3 ispettori che sono generali di brigata e 9 colonnelli. Ne rimarranno solo due: l’arcivescovo ordinario militare assimilato a un generale di corpo d’armata e il vicario generale equiparato a un generale di divisione. Gli altri cappellani avranno, invece, una carriera limitata con uno scatto di grado ogni 10 anni che li poterà dopo 30 anni a essere tenenti colonnelli poco prima di andare in pensione.

La riforma dello Ior: da Wojtyla a Bergoglio – Quando san Giovanni Paolo II arrivò al soglio di Pietro, al vertice dello Ior trovò monsignor Marcinkus che nel 1972 si era scontrato con il suo diretto predecessore, Albino Luciani all’epoca, però, ancora patriarca di Venezia. Il presidente della banca vaticana, senza avvisare i vescovi veneti, aveva ceduto il 37 per cento delle azioni della Banca cattolica del Veneto che erano di proprietà dello Ior al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Proprio in quanto presidente della banca vaticana, Marcinkus rimase invischiato nel crac del Banco Ambrosiano riuscendo a evitare, grazie al passaporto diplomatico, il mandato di cattura emesso, nel 1987, dal giudice istruttore del Tribunale di Milano. Nel 1989 alla guida dello Ior, per volontà di Wojtyla, gli subentrò Angelo Caloia, che rimase saldo al governo della banca fino al 2009. Caloia è stato poi indagato in Vaticano in relazione a operazioni di compravendita immobiliare avvenute nel periodo 2001-2008.

Nel 2009 alla guida dello Ior Benedetto XVI chiama Ettore Gotti Tedeschi, da prima alleato del suo Segretario di Stato, il cardinale Bertone, e poi “cacciato a calci nel sedere”, come affermò lui stesso. Gli anni del pontificato di Ratzinger sono quelli in cui il Papa tedesco tenta finalmente di attuare un’operazione di trasparenza finanziaria per contrastare il riciclaggio di denaro sporco che da decenni si verificava allo Ior. Ma ogni azione di Benedetto XVI viene duramente contrastata. Alla fine del 2010 il Papa istituisce l’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede, ma il tentativo di pulizia stenta a decollare, con uno scontro interno molto acceso tra i cardinali Attilio Nicora, in quegli anni al vertice proprio dell’Aif, e Bertone, che ricopriva l’incarico di presidente della Commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior.

I primi risultati – che vengono pubblicati, però, quando Bergoglio è già Papa da un anno – sono molto deludenti. La svolta appare lontana. Si dovrà attendere gli anni successivi, con la riforma finanziaria di Francesco che non fa sconti a nessuno, per assistere a un radicale cambiamento di rotta. Nel 2013 le operazioni sospette sono 202 contro le 6 dell’anno precedente, nel 2014 sono 147 mentre nel 2015 triplicano e arrivano a quota 544. Segno che la trasparenza finanziaria voluta da Benedetto XVI si è attuata solo con Francesco. Intanto al vertice dello Ior si susseguono il banchiere tedesco Ernst von Freyberg, dal 2013 al 2014, e attualmente l’economista francese Jean-Baptiste de Franssu. Bergoglio ha istituito anche un super ministero economico per vagliare tutti i bilanci della Santa Sede, soggetti poi all’esame di società di revisione esterne e internazionali.

Strategia politica o spot? – La domanda è una sola: le accelerazioni impresse da Francesco sulla trasparenza finanziaria fanno parte di una strategia politica ben delineata, anche per riavvicinare la gente alla Chiesa, o sono solo spot una tantum, magari per evitare nuovi scandali? A dire la verità, nonostante l’indubbia opera di pulizia attuata da Bergoglio, le inchieste non mancano: dalle operazioni dell’ex capocontabile vaticano, monsignor Nunzio Scarano, poi assolto dall’imputazione di corruzione ma condannato a 2 anni per calunnia, all’accusa di concorso in malversazione per il cardinale Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica ed ex braccio destro di Bertone.

Il vaticanista Francesco Peloso, autore del volume La banca del Papa. Le finanze vaticane fra scandali e riforme (Marsilio), sottolinea che “tutta la sfera della finanza vaticana, abituata a vivere nell’ombra, ha conosciuto in pochi anni un processo di avvicinamento a criteri di trasparenza, certificati da organismi internazionali, che da solo costituisce un cambio d’epoca, una trasformazione dell’istituzione. La fine della corte pontificia – aggiunge Peloso – non sarebbe tale senza questo aspetto. Essa coincide con la fine della segretezza e quindi degli apparati che la garantivano e ne facevano un mito. Ma il cammino è tutt’altro che compiuto: ci sono non solo resistenze ma interi capitoli che devono ancora essere affrontati, si pensi per esempio al patrimonio immobiliare o alle diramazioni ecclesiali in campo sanitario”. Se, come dice il Papa, “soldi e potere distruggono la Chiesa e nessuno può dirsi pulito”, c’è da auspicare che non si torni indietro all’era precedente l’elezione di Bergoglio, anche perché resta ancora molto da fare. Dopotutto sono pur sempre più di 2000 anni che la Chiesa insegna che “senza denari non si cantano messe”.

Twitter: @FrancescoGrana

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