Caro Antonio Ingroia,
dopo lungo peregrinare – pm simbolo alla Procura di Palermo, in Guatemala per l’Onu, di nuovo in Italia come candidato premier, blitz ad Aosta dopo la sconfitta elettorale, uscita dalla magistratura, rientro in Sicilia come commissario nominato da Crocetta, infine avvocato – rieccola alla ribalta come difensore del paladino antimafia Pino Maniaci accusato di estorsione.

Capirà la curiosità di sentirla, dopo tante luci e poi tanto silenzio, in questa nuova veste, a maggior ragione in un momento di scontro durissimo tra politica e magistratura, i casi Davigo e Morosini, le reazioni di Legnini e del governo, le ipotesi di bavaglio ai magistrati su referendum e intercettazioni… Così l’ho seguita con attenzione da Mentana a Bersaglio Mobile. A fine puntata non ho potuto fare a meno di twittare: “Che tristezza Ingroia”, spiegando a chi la difendeva: “Vederlo sostenere ciò che ha sempre combattuto, fa tristezza”.

Dieci giorni dopo mi ha risposto, piccato: “La tristezza viene anche a me quando vedo i pregiudizi prevalere sulla ragione. Io la penso esattamente come la pensavo da PM”. Grazie comunque per la civiltà – oggi un insulto o almeno un #ciaone non si nega a nessuno – e perché mi consente di spiegarle, oltre la ghigliottina dei 140 caratteri, che la mia critica non è affatto dettata da pregiudizi, ma dalle sue stesse parole in tv.

Lascio sullo sfondo la vicenda Maniaci e le cito solo qualche frase: “linciaggio mediatico”, “il video dei carabinieri è un chiaro spot promozionale distribuito alla stampa, con cui è già stato condannato mediaticamente”, “presenteremo denuncia per rivelazione di segreto d’ufficio e diffamazione”, perché a suo dire quelle intercettazioni, oltre a essere montate, non potevano essere tutte rese pubbliche. Magari ha ragione, ma non sono le stesse formule che usavano contro di lei da pm? Non erano i suoi detrattori ad accusarla di costruire processi mediatici e di passare alla stampa atti e intercettazioni?

Peraltro, lei stesso ha ammesso sempre a La7 che, passando dall’altra parte della barricata, ha cambiato punto di vista: “Vedi l’impatto di un procedimento penale sulla vita delle persone, dal semplice avviso di garanzia alle misure cautelari”, “percepisci di più da avvocato la pesantezza della vita carceraria”, “ogni magistrato, giudice, pm dovrebbe riflettere un attimo di più prima di mettere la firma su ‘Si esegua’ di una misura cautelare”.

Al di là del fatto che non credo si debba diventare avvocato di un detenuto per capire che il carcere è “un’esperienza pesante, che lascia tracce”, e mi sembra inquietante che sia giunto a tale consapevolezza solo smettendo i panni da pm, ha confermato che non la pensa affatto come allora. E io le confermo la mia stima, ma anche un po’ di tristezza, nel sentirla ripetere – tra fastidiosi risolini – ciò che veniva detto contro di lei, e per cui 153.770 persone firmarono la petizione del Fatto di solidarietà a lei e Di Matteo per l’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia (come le ha ricordato Padellaro). Quasi un milione di elettori votarono quel pm intransigente, molti credono nella sua Azione Civile anche se non è più Rivoluzione, tutti gli italiani ricordano attraverso lei Falcone e Borsellino: la sua storia è anche loro. Ci pensi quando cambia mestiere (e idea).

Un cordiale saluto.

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