“Gli animalisti odiano gli esseri umani” o “Chi ama gli animali poi si disinteressa della sofferenza dei suoi simili”. Quante volte avete sentito o letto queste parole, che dipingono il movimento per i diritti animali come una forma di misantropia? Ma per quanto spesso questa frase venga ripetuta, non ci è sembrato mai di leggere profonde riflessioni o di riscontrare basi fondanti per questa teoria. E’ una di quelle frasi buttate lì, giusto per discriminare un’idea e un movimento, a volte prendendo spunto da casi isolati o facendo riferimento a falsità storiche come quella secondo cui Hitler era vegetariano (bufala doc, visto che il suo piatto preferito erano le salsicce ma il medico gli aveva imposto una dieta senza carne rossa per motivi di salute).

E’ un vecchio trucco dell’arte retorica: quando non si sa come difendere una propria posizione si getta discredito su quella dell’altro, con ogni mezzo. E in tutto questo ci mancava solo il Papa a far passare il messaggio che chi si interessa degli animali si disinteressa facilmente degli umani.

Purtroppo è innegabile che viviamo in un mondo in cui tutti, anche chi non ama gli animali, si disinteressano del proprio vicino di pianerottolo o del mendicante incontrato in strada. La velocità a cui viaggiamo e l’atomizzazione dei rapporti hanno reso così distante chi ci è vicino, compresi familiari, condomini o colleghi di lavoro. L’indifferenza e la mancanza di empatia, così come l’egoismo, sono un problema che affligge questa società moderna, e non siamo certo noi i primi a dirlo. Ma dipende forse tutto questo da chi ha in casa cani e gatti o promuove un’etica di rispetto di tutti gli animali?

L’amore per l’uomo non esclude quello per gli animali, e viceversa…
Susanna Tamaro

Il movimento per i diritti animali storicamente nasce in seno e a fianco ad altri movimenti di emancipazione sociale, come quello femminista, pacifista, ecologista, antirazzista. Da sempre è stato teorizzato e vissuto come un modo per allargare la sfera dei diritti non solo a tutti gli umani, abbattendo ogni forma di discriminazione, ma riuscendo ad andare anche oltre i confini dell’umano. E’ una sorta di sfida, per ampliare il più possibile l’empatia e il rispetto verso chi è diverso da noi in tutto, non solo nel colore della pelle, l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale o la religione. Un modo per abbracciare anche gli ultimi tra gli ultimi di questa società, che non sono solo i cani e i gatti, amati abitanti delle nostre case, ma anche quei milioni di disgraziati animali che vivono negli allevamenti, trasformati in cose e in cibo.

E un movimento e un’idea che si spinge così oltre i confini è uno stimolo positivo per tutta la società. Ogni gesto di rispetto può creare un’onda di entusiasmo positivo e ogni passo fatto a fianco di una categoria discriminata ci rende empatici e ci farà sensibilizzare anche verso altre situazioni simili, in una sorta di contaminazione.

Sono convinto che gli uomini arriveranno veramente a non uccidersi tra di loro, quando non uccideranno più gli animali”, diceva Aldo Capitini, padre del movimento nonviolento italiano.

Ai bisognosi dopotutto non dovremmo guardare in faccia o chiedere conto. Non si dovrebbe fare distinzione nell’elargire aiuto. E anche gli animali rientrano tra i bisognosi, sono anche loro i nostri vicini, né più né meno degli umani. Per questo prendersene cura o difenderli dai maltrattamenti e dalle sofferenze può solo contribuire a creare una società meno violenta, con meno distanza l’uno dall’altro e maggiore empatia. Una società migliore insomma.

Articolo Precedente

Il bonus bebè non basta per abbattere le disuguaglianze

next
Articolo Successivo

Migranti: chi vuole adottare Samia?

next