Se esiste davvero un Dio delle piccole cose deve avere toccato la mano di Evita Greco. Leggete per un attimo l’attacco de Il rumore delle cose che iniziano (Rizzoli): “Per Ada ci sono rumori che meritano più attenzione di altri. Il rumore che fa un’orchestra quando gli strumenti vengono accordati, un attimo prima che il concerto inizi. Quello che fanno le foglie quando si alza il vento. E anche quello che fanno le tazzine quando i baristi le sistemano sopra le macchine del caffè. Ada sa che ci sono che, quando iniziano, fanno rumore. E quando sente quel rumore, si ferma e ascolta. Ascolta il rumore delle cose che iniziano”.

Forma, senso e struttura si fondono in una scrittura che per qualche attimo sembra come librarsi in una metrica da componimento poetico tout court. Non c’è da cercare chissà quale analisi del presente, chissà quale pertinenza sull’attuale, per il romanzo d’esordio di una ragazza dislessica di 30 anni che, dopo esser stata bagnina, animatrice in colonia, cassiera in un supermercato, segretaria e baby-sitter, ha concluso un percorso pedagogico e di rivincita sulle beffe che può riservare il destino. La patologia maligna delle sillabe che non si leggono a dovere, i numeri che traballano nefasti in un labirinto incomprensibile di segni, sono solo un’eventualità con cui convivere, una sfida personale che viene traslata in questo racconto semplice e immediato, in narrazione fluida e priva di fronzoli minimalisti, per una sovrapposizione autobiografica tra Evita e Ada, la protagonista del libro, che merita infinito rispetto e ascolto.

Già proprio Ada, allevata da nonna Teresa dopo esser stata abbandonata da bimba, che ricorda quegli episodi d’infanzia e adolescenza che ne hanno fortificato carattere e resistenza al dolore a fianco dell’amata parente. L’insistenza sulle “cose che iniziano” e il “rumore che fanno” è un viaggio nel ricordo che lascia sorpresi per sintesi e profondità, per fascino e sicurezza di scrittura. Tempo di qualche pennellata, qualcosa di fortemente empatico, e Ada è definitivamente in un presente continuo, tra le stanze e i saloni di un ospedale, reparto oncologico, dove Teresa sta consumando con grande fierezza e lucidità i suoi ultimi giorni. Lì Ada incontra Matteo, l’uomo che amerà con sincera fanciullezza e poetica stravaganza, e Giulia, l’infermiera amorevole di buonissima famiglia che tutto controlla ma che toppò gli esami di ammissione a medicina.

Il romanzo di formazione si compie già. Il simbolico passaggio è il chiaro superamento di una soglia, dal porto sicuro delle certezze al mare aperto in tempesta dell’esistenza; ma è anche un espediente letterario che affascina e coinvolge per come è strutturato e sviluppato. L’attesa di una morte che verrà, dell’abbandono dell’allegria per far spazio alla tragedia, sembra essere l’unico finale possibile a livello di trama. Poi all’improvvisa e morbida intrusione dell’addio, a nemmeno metà racconto, subentra una seconda parte legata al sentimento amoroso, al tradimento, alla fiducia tra esseri umani, vertigine altrettanto scivolosa nei meandri dell’intimità. Matteo, reticente nel darsi definitivamente ad Ada, riserva un segreto che permette alla scrittrice di ricominciare da capo, a descrivere di nuovo “il rumore delle cose che iniziano”. La scrittura in terza persona che sembrava concentrata sulla descrizione di Ada, triplica invece sguardo e prospettiva sia per Matteo che per Giulia, con una capacità di saltare in tre differenti tipologie di carattere che arricchiscono il romanzo di una varietà e variabilità di senso, dettaglio che distingue l’opera della Greco da tutti quei romanzi d’esordio che mostrano la monotonia descrittiva di personaggi agli antipodi e soprattutto dell’onnipresenza di deliranti performance autocelebrative.

Tra una serie infinita di oggetti, di “cose”, che vogliamo citare perché appassionano, perché ci fanno tornare vivi attori di una socialità e di una memoria materica nell’evo gutturale di pixel e chat, la Greco conclude affidandosi a un colpo di scena, ad una costruzione da consumata compositrice di storie, tre sottofinali altrettanto ipnotici nella loro ordinaria semplicità strutturale. Eccole le “cose” di Evita, vi piaceranno, diventeranno vostre: le margherite regalate in un bar d’ospedale, caramelle e anelli, fette biscottate nascoste, le scarpe rosse di nonna, gli zaini e la cartelle, i tovaglioli, le tazzine e le graffette, il casco da palombaro regalato a Matteo, le forcine per capelli, un astuccio, orologi, una cassapanca e un auto d’epoca. “Ogni inizio ha un rumore” è scritto nel romanzo. E per Il rumore delle cose che iniziano è quello delle lacrime che scendono copiose e di un applauso per la soddisfazione di averlo letto.

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