Non fanno solo le multe ma svolgono funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria. Spesso rischiano la vita e a volte la perdono nell’adempimento del loro dovere, come i carabinieri e gli agenti di Polizia di Stato. Sono i 60mila agenti delle polizie locali d’Italia che a differenza delle altre sono inquadrati come impiegati amministrativi. E per questo non si vedono riconosciuta la causa di morte in servizio né un equo indennizzo per i parenti. Per questo gli operatori di PL oggi incroceranno le braccia. In buona sostanza chiedono a Governo e Parlamento una profonda modifica normativa e strutturale della Polizia Locale che preveda il superamento della legge quadro del 1986, il reintegro nel contratto di diritto pubblico con un contratto di polizia vero e proprio, il riconoscimento della professione usurante-rischio, l’inserimento nell’istituto dell’equo indennizzo e della causa di servizio, il riconoscimento delle malattie professionali. Lo sciopero generale nazionale dei vigili parte alle 9 di mattina con manifestazione dal Circo Massimo, piazza di Porta Capena, a Roma. La mobilitazione potrebbe coinvolgere circa 10mila agenti in tutta Italia. Non è la prima volta.

Da troppo tempo, lamentano, sono abbandonati a un limbo. La politica negli ultimi anni ha spinto per il loro impiego sul fronte della sicurezza. Le modifiche al codice penale hanno via via conferito ai vigili piene competenze di polizia giudiziaria. Non è raro, infatti, vedere i vigili compiere arresti e perquisizioni. Spesso in affiancamento con le altre forze di Polizia dello Stato. Questo allargamento della platea di agenti sul territorio che si occupano di sicurezza è stato benedetto dalla politica per diverse ragioni. Su tutte, il fatto che fosse più o meno a costo zero per le casse dello Stato, perché gli agenti sono dipendenti comunali inquadrati come impiegati amministrativi. Nulla a che vedere con le Polizie ad ordinamento nazionale. Fino al Governo Monti, tutti i dipendenti pubblici avevano la medesima disciplina. Se un poliziotto, durante il servizio, subiva un grave infortunio o moriva, la famiglia riceveva un trattamento di favore, giustamente. Poi questa tutela è stata rimossa per tutti, ma non per il comparto sicurezza. Di cui, però, gli agenti di Polizia Locale non fanno parte.

Quando poi arriva una pallottola, o un vigile viene travolto in strada, la differenza si materializza sotto il  peso dei numeri. Il conto, quando arriva, lo pagano le famiglie delle vittime. Gente come Sara Gambaro, per ricordare gli ultimi casi, agente travolta e uccisa da un’auto mentre era in servizio sulla tangenziale di Novara. Al suo funerale i familiari hanno raccolto soldi non per sé, ma per istituire un fondo per la sicurezza dei colleghi perché negli ultimi anni si sono contati circa 100 morti tra gli appartenenti alla categoria. Da Monti in poi nulla è cambiato e anzi anche il governo in carica ha proseguito sulla strada maestra di scaricare sui vigili rischi senza costi. Ad esempio è stato recentemente modificato l’art. 54 del Testo Unico Enti Locali attraverso il quale sono stati assegnati compiti di Ordine Pubblico ai Sindaci che, per esercitare i loro poteri, possono affiancare alle forze dell’ordine gli operatori di Polizia Locale, ma senza riconoscere a questi ultimi le tutele che giustamente vengono riconosciute alle Polizie ad ordinamento nazionale.

Non a caso alcune sigle sindacali della Polizia locale si rivolgono direttamente a Renzi. In una lettera (scarica) chiedono al premier di incontrare una delegazione che oltre alle rivendicazioni di categoria spieghi perché un intervento non è più rinviabile. “Il nostro Paese vive in un contesto emergenziale dettato dalla minaccia del terrorismo internazionale”, si legge nella lettera spedita il 9 maggio. “In Francia – sottolineano Luigi Marucci e Francesco Garofalo del Csa – all’indomani degli attentati di Parigi gli agenti ed ufficiali della Polizia Locale sono astati armati alla pari delle altre polizie per la sicurezza dei cittadini e del territorio. Quindi, sarebbe logico pensare che le 24mila pattuglie della Polizia Locale, distribuite in 8mila comuni d’Italia, possano essere schierate come forza pubblica straordinaria”. Ad esempio nella raccolta di informazioni utili al monitoraggio dei movimenti di individui sospetti pericoli per l’incolumità della cittadinanza. “I 60mila uomini e donne delle Polizie Locali d’Italia vogliono sapere se devono essere considerati Forza di polizia o continuare a operare con le tutele di un semplice impiegato”. Da Palazzo Chigi, al momento, nessuna risposta.

Non tutti però aderiscono. “Oggi non ho scioperato perché chi l’ha organizzato ha pensato ai propri interessi personali e non alla categoria”, accusa Fabrizio Caiazza della Uil Fpl Milano e Lombardia. “Non è ammissibile dare vita ad una iniziativa e poi fintamente, dopo un mese, invitare le altre organizzazioni sindacali. Se davvero avessero voluto unità, lo avrebbero chiesto prima, organizzando insieme e soprattutto escludendo i punti di divisione per il bene supremo della categoria”. Parlare di “121” (la legge che determina lo status e l’eventuale creazione di un’altra forza di Polizia), significa prendere in giro i colleghi e aldilà del mio pensiero personale, vuol dire dividerci. Sinceramente sono stanco di dovermi sentir dire dal politico di turno: “mi scusi ma altri suoi colleghi hanno chiesto una cosa diversa…”. Avremmo servito ancora una volta su un piatto d’argento, a chi deve decidere sul nostro futuro e su quello dei cittadini, la perfetta giustificazione per continuare a fregarsene. Invece così il 13 maggio si certificherà pubblicamente ancora una volta la profonda divisione che esiste comunque nella nostra categoria”.

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