Niente casa per i violenti. Chi si rende protagonista di abusi e maltrattamenti tra le mura domestiche deve perdere il diritto di abitare nella casa popolare che gli era stata assegnata. A chiedere un giro di vite contro la violenza domestica è la deputata del Pd Marilena Fabbri, con una proposta di legge che prevede la decadenza dalla assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica per chi sia stato condannato, anche in via non definitiva, per reati commessi all’interno del nucleo familiare.

PRIGIONI DOMESTICHE Si tratta di un ulteriore passo avanti nella battaglia contro la violenza di genere e nei confronti dei figli, dopo il via libera del Parlamento a norme importanti come quelle contenute nella Convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza contro le donne. La ratio della proposta della parlamentare Pd è di evitare che di un alloggio,”acquistato o costruito con denaro pubblico e destinato a fini di pubblico interesse”, come accade con le case popolari, possa farsi un uso contrario alla legge, trasformandolo di fatto in una prigione all’interno della quale si consuma violenza ai danni del coniuge o dei figli.

VITTIME E CARNEFICI “E’ inaccettabile –aggiunge Fabbri- che di fronte alla violenza domestica debbano essere la moglie e i figli minori ad essere allontanati per trovare protezione in strutture assistenziali, mentre chi ha commesso il reato ed è già stato condannato in primo grado possa rimanere nell’alloggio”. E’ indispensabile, secondo la deputata dem, ribaltare il concetto: chi commette il reato va allontanato, mentre le vittime hanno diritto a restare nell’alloggio o ad essere trasferite, per motivi di sicurezza, in un’abitazione “equivalente”.

BUONE REGIONI In alcune regioni una legislazione come quella auspicata a livello nazionale dall’esponente Pd è già una realtà. Come in Emilia-Romagna dove è previsto l’allontanamento dalla casa familiare “per fatti riconducibili a violenza domestica”, e l’assegnazione dell’alloggio sospesa fino alla definizione del procedimento penale. In altre Regioni, come nel Lazio, in Puglia, in Basilicata le norme per la decadenza dell’assegnazione, che pure esistono, hanno una motivazione (“per attività illecite e immorali”) ben più generica.

IMPERATIVO CATEGORICO Combattere la violenza tra le mura domestiche, anche con proposte come questa, deve essere un imperativo per le istituzioni europee ed italiane: dai dati di un sondaggio dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, che ha coinvolto 42mila donne in tutta Europa, emerge che il 22% delle donne sono state vittime di violenze da parte del partner. Il 30% ha subito aggressioni fisiche o abusi sessuali da parte di un membro della famiglia, 22% da amici o conoscenti e il 22% da parte di qualcuno che la vittima in ogni caso conosceva.

MURA DANNATE In Italia, come ci dice l’Istat, oltre 6 milioni di donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni. Di fatto, una donna su tre. Dal dossier ‘Rosa Shocking’ dell’associazione WeWorld, per un under 30 su tre la violenza viene consumata tra le mura di casa. I dati che riguardano la violenza di genere sono contrastanti: c’è forse più attenzione, almeno nelle aree del centro-nord, sempre secondo l’indagine di WeWorld, a fronte, però, di un calo degli investimenti in prevenzione e contrasto alla violenza di genere.

CERCASI FONDI Le campagne di sensibilizzazione, ammesso che si trovino i fondi necessari per promuoverle, non bastano. Occorre intervenire su nuovi fronti, cercando di promuovere misure concrete ed efficaci. Il rischio di perdere la casa potrebbe rappresentare un elemento di contrasto alla violenza perpetrata tra le mura domestiche. Per la deputata Pd è indispensabile rendere omogenee le norme su tutto il territorio nazionale: “Le politiche contro la violenza domestica –spiega- richiedono unitarietà di azione ed uniformità di applicazione. E la materia dell’edilizia residenziale pubblica, pur rientrando prevalentemente nella competenza legislativa delle Regioni, non costituisce una loro competenza esclusiva”.

FAMIGLIA IN CRISI Ma quello delle case popolari resta un capitolo delicato. I sindacati parlano da anni di emergenza abitativa ed in effetti i numeri danno loro ragione: le famiglie in stato di evidente necessità supportate dall’edilizia pubblica sono appena un terzo, 700mila. Al di fuori esiste un disagio economico che nel 2014 ha coinvolto 1,7 milioni di famiglie in affitto, secondo un’indagine Nomisma-Federcasa. Si tratta, sottolinea lo studio, di famiglie che, versando oggi in una condizione di disagio abitativo (incidenza del canone sul reddito familiare superiore al 30%), corrono un concreto rischio di scivolamento verso forme di morosità e di possibile marginalizzazione sociale.

 

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