L’acciuga (o alice), il pesce azzurro per eccellenza, è protagonista di molti piatti tipici della nostra tradizione gastronomica. Prima in classifica tra le preferenze degli italiani, è infatti la specie più pescata nel nostro Paese. Solo nel 2014 ne abbiamo pescate quasi 32 mila tonnellate. Segue al secondo posto la sardina, spesso catturata insieme all’acciuga, con oltre 25 mila tonnellate. Peccato che la corsa allo sfruttamento di queste preziose risorse nasconda dei retroscena preoccupanti, tanto da rendere il loro consumo “indigesto” a chi ama il mare.

Chi ha il compito di regolare la gestione di queste risorse – ovvero il Ministero delle Politiche Agricole – ignora infatti i suggerimenti degli esperti scientifici, che da tempo ci dicono che nei nostri mari queste specie vengono pescate troppo.

Tutelare oggi una risorsa che rischia di scomparire domani non è roba che negli anni è sembrata interessare particolarmente i vari ministri della pesca. Ultimo tra questi, l’attuale titolare del Ministero Maurizio Martina che, come il suo Sottosegretario con delega alla pesca Castiglione, si è ben guardato dal fermare una tradizione ormai consolidata in via XX Settembre. Dagli anni Novanta, infatti, si concede con regolarità di pescare acciughe e sardine a un numero indefinito ma consistente di pescatori privi di una regolare licenza, ma “temporaneamente autorizzati” a pescare con l’attrezzo “volante a coppia”. Quello che doveva essere un esperimento temporaneo è diventato negli anni una prassi, tanto che dall’Adriatico fino allo Stretto di Sicilia si è creata una potente flotta di volanti a coppia che ha indiscutibilmente contribuito a portare questi stock al collasso, come peraltro confermato dalla Commissione Europea.

Se non facciamo subito un passo indietro, a pagarne le spese non saranno solo i pesci e i nostri mari, ma anche tutto l’indotto che dipende dalla loro prosperità. Acciughe e sardine sono sempre più in diminuzione: sia per numero di esemplari presenti in mare, sia per la loro taglia, sempre più piccola. Un danno per l’ambiente, visto che sono specie alla base della catena alimentare, fonte essenziale di nutrimento per molti pesci. Un danno anche per le industrie di trasformazione, un tempo fiorenti e oggi spesso in crisi, con le aziende costrette a utilizzare esemplari sempre più piccoli, svenduti perché meno pregiati delle pezzature più grandi. Gli esemplari che vengono scartati perché non hanno raggiunto la misura minima prevista dalla legge – 9 centimetri l’acciuga, 11 centimetri la sardina – diventano pasta d’acciughe e quando il pesce è così poco da non soddisfare la produzione, occorre importarlo dall’estero.

Inoltre millantando inesistenti processi di trasparenza con gli stakeholder e un’accurata (ma mai resa nota!) analisi dei dati sulle imprese di pesca, il Ministero ha recentemente annunciato di voler regolarizzare tutte le autorizzazioni provvisorie per la pesca di acciughe e sardine. Senza nemmeno aver prima stabilito piani dettagliati di riduzione dello sforzo di pesca e per il recupero degli stock. Premiando tutti, anche chi ha pescato illegalmente.

Anziché usare la trasparenza e la lungimiranza per gestire un bene comune come il pesce, il Ministero in questo caso ha scelto di mantenere lo status quo, con il silenzio delle associazioni della pesca. Che il ministro Martina non sia particolarmente interessato a combattere la pesca eccessiva e illegale lo avevamo temuto. Che volesse condannare l’alice a un futuro a rischio di estinzione nei nostri mari, è ora per noi evidente. E dovrà assumersene la responsabilità.

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