A giudicare dall’esordio di ieri sera, la seconda serie di Gomorra sembra più asciutta, compatta e tesa di quella che l’ha preceduta (e che, pure, apprezzammo non poco). Al punto che ormai non esitiamo ad appaiarla alla saga dei Sopranos, fatto salvo il fatto che questa giocava fra commedia e tragedia che si davano reciprocamente pausa, mentre Gomorra, almeno finora, si attiene esclusivamente alla seconda chiave e, ciononostante, riesce a non scivolare nel plumbeo ossessivo. Con l’aiuto, certo, delle scene di azione, ma senza che queste diventino esibizioni di action fini a se stesse.

La impostazione di Saviano si sente eccome, per quanto ricordiamo del suo libro omonimo e del successivo sulle bande dei narcos. La società, quella che è madre e vittima delle bande impegnate a contendersi i territori di spaccio e di azione criminale, non viene mai direttamente mostrata e analizzata (forse qualcosa avremo proseguendo con le storie, chissà?) ma viene piuttosto dedotta dalla sua stessa assenza e inconsistenza. Il fulcro su cui gira la macchina sociale è infatti la criminalità e solo la criminalità, quella, che procura gli enormi flussi finanziari, che genera investimenti in attività lucrose, che compra col denaro o la paura la connivenza dei decisori pubblici e la colpevole passività, o la piccola complicità clientelare, della gente qualunque. Una società dove se si sfugge al diretto coinvolgimento criminale è solo a causa della “Paura” che poteva essere il titolo-tema del primo episodio dove a esserne travolta è proprio la compagna del giovane boss. Ma la paura non ti conduce a combattere la criminalità, a svellerne i mercati, a privarla dell’aura “eroica”. Al massimo ti fa fare un passo di lato.

Ci sembra di capire, su queste basi, perché Renzi, ovvero “il fare” e Saviano, ovvero l'”essere”, non si raccordino facilmente, nonostante Cantone, sia uno degli eroi positivi di Gomorra-libro e da lì sia andato a dare un aiuto strategico al governo attuale. Qualsiasi cosa si faccia si infila infatti in “ciò che è” e ci si confonde. E se per Saviano l’essere è quella totalità irredimibile che abbiamo descritto, lo spazio per l’autonomia della politica è inesistente, e l’Italia, ma forse il mondo, è una grande Platì, dove per non caricarti dell’aura e degli interessi illegali del luogo devi rinunciare ad amministrarlo.

Pensieri cupi che accantoniamo, e che abbiamo per un attimo dimenticato ipnotizzati dalle atmosfere rarefatte del secondo episodio, in una “Duisburg” dove si replica la celebre strage del bar operata qualche anno fa da un gruppo di fuoco calabrese. Dove Genny si dimostra eroico come figlio e per salvare il padre uccide un malcapitato finito sulla loro strada. Magari quello era uno qualunque, come tanti, a cui non piaceva esporsi. Ma nel mondo di Saviano nessuno è innocente per davvero, anche e specialmente se si fa, ad occhi chiusi, gli affari suoi.

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