Un bella mattina mi verrà un infarto e saluterò la vita.. ma fino a quel momento continuerò a fare film!”. Serafico a fronte degli scongiuri scanditi in ogni lingua dai presenti al 69° Festival di Cannes, l’80enne Woody Allen è fiducioso di vivere a lungo “i miei genitori sono arrivati a 100 anni, più o meno, e se la genetica non inganna mi avrete attorno ancora per un bel po’, mangio sano, faccio esercizio, e confido che i miei produttori continuino a finanziarmi i film…”.

Meglio non poteva onorare la sua terza apertura di Cannes l’amatissimo regista newyorkese, che ha portato sulla Croisette Café Society, una deliziosa commedia romantica ambientata fra la Grande Mela dei gangster e la golden Hollywood dei favolosi anni ’30. Protagonista è un triangolo amoroso formato dal suo novello alterego Jesse Eisenberg, Kristen Stewart e Steve Carell meravigliosamente fotografato dall’italiano Vittorio Storaro alla sua prima volta con Woody. “Io sono un romantico, non lo sapevate?” esplode Allen precisando che “alla mia età però si tende ad essere romantici goffi e non più dei dongiovanni ed entrambi i miei protagonisti maschili qui sono dei vincenti solo in apparenza” .

Di fatto il character di Bobby interpretato da Eisenberg sembra la copia di Woody da giovane: l’attore infatti sembra aver trovato non solo la postura alleniana ma anche le espressioni, l’ironia pungente purché sfumata. “Non è la mia storia, io non sono andato da New York a Hollywood a cercare la fortuna da mio zio! Però sì, Jesse è perfetto, così perfetto che avrei potuto essere io da giovane” aggiunge ridendo il grande cineasta. In una pellicola a struttura di romanzo famigliare che mescola amori infranti a sogni rattoppati con uguali dosi di leggerezza e nostalgia, a vincere è una frase del film che si presta a perfetta metonimia dell’universo di Woody: la vita è una commedia scritta da un sadico. Già, perché “la vita è crudele e l’unico modo per sopportarla è pensarla in termini comici”.

E con il consueto black humor di stampo ebraico, Allen ricorda agli astanti che il suo film non poteva che stare fuori concorso a Cannes, “Io non credo nelle competizioni, è materia dello sport non dell’arte! Non si possono mettere a confronto un Rembrandt o un Matisse, puoi dire cosa preferisci ma non puoi metterli in competizione tra loro. I concorsi cinematografici sono senza senso!” Parole, queste, che possono sollevare gli animi tricolori per l’assenza di un portabandiera quest’anno verso la Palma d’oro, egregiamente compensato, però, dalla presenza di ben 6 italiani sulla Croisette. Tra i primi a sfilare è il minuzioso documentario L’ultima spiaggia di Thanos Anastopoulos e Davide Del Degan, concentrato sulla quotidianità dello stabilimento balneare al centro di Trieste chiamato “el Pedocìn”.

Luogo identitario e di culto per i triestini, ma anche azzeramento sociale, rappresenta tuttora col suo muro divisorio tra donne e uomini un simbolo della libertà dal giudizio dell’altro sesso. “Certo il passo da una spiaggia così proletaria come la nostra alla blasonata Croisette è un grande salto, ma a alcune volte è proprio il cinema popolare ad avere questa forza” hanno sottolineato i registi, aggiungendo la speranza “che quello del Pedocìn sia ultimo muro in Europa, considerando le recenti mosse anti-accoglienza dell’Austria.” Una dichiarazione ad alto tasso politico che trova sponda in un festival che si apre respirando le tensioni e le paure di un attacco terroristico: ieri il Palais des Festivals è stato improvvisamente evacuato per “motivi tecnici”. Per fortuna a “metterci una pezza” è stato ancora una volta lo humor di Woody Allen: “Come fate a chiedere a me che sono un terribile ipocondriaco se ho paura del terrorismo?! Io ho paura anche di andare al supermercato, figuratevi ora..”

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