Parafrasando il presidente Mao: grande la confusione sotto il cielo delle elezioni amministrative. Se non tutto è favorevole, qualche pozza stagnante comincia a rifluire. Mentre i poli della corrente elettrica rottura/restauro si personificano nei volti di due ragazze poco più che trentenni all’attacco di un giovanotto quarantunenne in pieno arrocco: Chiara Appendino schierata a Torino e Virginia Raggi nella capitale, a contrasto del mobbing politico praticato con crescente protervia e spregiudicatezza dal premier Renzi. Stante che la partita milanese è tra due cloni, ormai lo scontro è quello. Alla faccia (mal rasata) del “pannelliano pidizzato” e comunque insapore Roberto Giachetti; alla faccetta (smunta) di Giampiero Fassino, insostituibile furiere della monarchia sabauda nonostante l’avvenuta successione di Banca San Paolo alla secolare dinastia Fiat.

Virginia Raggi prende la Metro C per far visita al VI Municipio

Infatti lo scenario si chiarifica dopo che Silvio Berlusconi, mollando il fido Bertolaso e imbarcandosi sul carro di Alfio Marchini candidato sindaco di Roma, ha lasciato definitivamente capire l’essenza del suo rapporto con Matteo Renzi: la presa d’atto che il giovanotto è ormai il vincente nella partita colpi bassi&porcate e l’unica scelta possibile è scendere a compromesso, costi quello che costi. In altre parole, il premier non ha la benché minima remora né pudore nello strumentalizzare a scopo di potere la posizione dominante che ricopre (la premiership). In più, oltre a essere privo di scrupoli, conosce le curiali tecniche del ricatto. Sicché, o il signore di Arcore si piega ai voleri del signore di Rignano sull’Arno, oppure sono pronte alcune disposizioni legislative/amministrative mortifere per il traballante impero Mediaset e dintorni: nuove regolazioni delle utenze televisive, una normativa del conflitto d’interessi che non riproponga le passate burlette.

I candidati sindaci di Torino. Incontro con Chiara Appendino

Un fuoco incrociato a cui il cavaliere, se vuole coltivare la prospettiva di una serena vecchiaia, può sottrarsi solo aderendo all’ammucchiata in costruzione del cosiddetto “Partito della Nazione”; sulla scia subalterna dei vari Alfano e Verdini. Quel partito della nazione che promette di rappresentare il coperchio della sentina maleodorante in cui le corporazioni unificate della politica politicante e dell’affarismo – vulgo, “la casta” – potranno continuare indisturbate a tessere la propria tela, in cui avvolgere e avvelenare la vita civile nazionale. Disegno tombale, in stato di avanzata realizzazione, che può trovare il proprio dente di arresto in alcuni prossimi appuntamenti che si terranno nelle città. Tra l’altro – appunto – Roma e Torino. Almeno come stop alla strategia colonizzativa renziana e al mantenimento in funzione dei sistemi collusivi che hanno ferito a morte le civiche sfere pubbliche democratiche (e nella capitale hanno fatto anche peggio, spalancando la cattiva amministrazione al contagio malavitoso).

Vale la pena di attenderci dall’auspicato ricambio guidato da ragazze battagliere qualcosa in più di una gestione oculata dei comuni, all’insegna del prerequisito vagamente lapalissiano “onestà”? Da tempo il pensiero democratico radicale individua nelle città il laboratorio per la rifondazione civile della vita pubblica. Possiamo plausibilmente sperarlo dalle prossime amministrative? I minimalismi di Parma e gli incidenti di percorso di Livorno ci indurrebbero a prudenza. Forse bisognerebbe lasciare mano libera a queste nuove entrate della politica perché provino a volare più in alto. Senza troppi controlli da parte del conformismo di militanze fondamentalistiche di base (attivate dai miti ingannevoli della clickdemocracy) o delle visioni para-apocalittiche di staff milanesi; che tanto piacciono a un Dario Fo intriso di cattolicesimo contadino.

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