Lorenzo, 16 anni, trascorre molto tempo alla Playstation, troppo secondo il padre; lo vede appassionarsi, accanirsi, arrabbiarsi. Il ragazzo perde il senso del tempo e suo padre deve intervenire spesso per farlo smettere. L’ultima volta Lorenzo si è ribellato, non era mai successo.

Negli ultimi anni l’uso di videogiochi si è molto diffuso tra gli adolescenti. Giocare con la Playstation o sul computer non è più un’attività che si realizza in solitudine ma in rete, portata avanti con i compagni frequentati nel mondo reale o conosciuti in internet proprio per quella funzione. Ci sono giochi che diventano comunità sociali virtuali, dove si impara a interagire nel gruppo e a prendere decisioni velocemente. Alcuni studiosi ritengono che i videogiochi, al pari degli altri giochi, siano utili per l’apprendimento di resilienza – è la capacità di superare eventi traumatici o periodi difficili – : imparare a perdere quando si gioca aiuta a costruire tale capacità che poi può avere una ricaduta positiva nella vita di tutti i giorni.

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I genitori, soprattutto quelli meno tecnologici, si preoccupano molto nel vedere i figli (sono soprattutto i maschi a scegliere il gioco elettronico), nella loro stanza trascorrere ore a qualche (per loro) incomprensibile gioco: lo valutano come un segnale di sofferenza e considerano esagerato che reagiscano con aggressività ai loro interventi di regolamentarlo e interromperlo.  Non riconoscono in loro i ragazzini educati e tranquilli che hanno cresciuto, spesso se ne fanno una colpa e si domandano dove hanno sbagliato, è una domanda che i genitori si pongono spesso di fronte ai figli adolescenti, nella maggior parte dei casi non hanno fatto grandi errori.

Altre volte l’attribuiscono ai giochi, alcuni sono violenti, magari è per quello che accumulano aggressività pronta ad esplodere alla prima occasione.  Alcune  ricerche rilevano che effettivamente i videogiochi violenti favoriscono l’aumento dell’aggressività nei giocatori, anche se non è ancora provato che questa aggressività si trasformi poi in comportamenti violenti. Va detto che se si cerca di interrompere un giocatore in un momento “importante”, magari quando stava per raggiungere un obiettivo o un nuovo livello di difficoltà, è probabile che abbia una forte reazione di protesta, per la perdita di punti, di ruolo e di immagine che ne risulta sul social.

Possiamo dire che il valore del gioco è direttamente proporzionale allo stato dei rapporti sociali reali? Che più si vivono difficoltà di relazione nel mondo reale, più alto è il valore attribuito al gioco e al ruolo virtuale che si riesce a raggiungere se si è bravi e maggiore è la difficoltà ad allontanarsene? Forse, anche se non sempre. Se pensiamo che l’utilizzo sfrenato dei videogame possa essere la punta di un iceberg da esplorare, allora dobbiamo capire di cosa stiamo parlando.

La ricerca morbosa del gioco potrebbe avere tante sfaccettature: rappresentare l’evasione dalla quotidianità, per esempio dagli impegni scolastici o dalle tensioni familiari – concentrarsi su qualcosa che appassiona, distrae e mette in secondo piano i problemi – oppure essere uno spazio in cui “recuperare autostima” se per esempio si diventa bravi nel gioco si ottiene un rispetto è una considerazione virtuali, che possono avere  un effetto confermante e avere una ricaduta positiva sul piano reale. Difficile distogliere il ragazzo dalla sua “ossessione” se non se ne coglie la “funzione positiva”, questo vale in generale per tutti i comportamenti problematici.

Servono perciò a poco le sospensioni, se non sono poi sostenute dalla ricostruzione della funzione del videogame: al momento della restituzione il rapporto con il gioco rimarrà invariato. Piuttosto che interromperlo in modo autoritario, è più utile concordare insieme il tempo da dedicare al gioco e eventualmente aiutarsi con un timer che al raggiungimento del limite massimo di utilizzo concordato, spegne tutto automaticamente.

I videogame hanno dunque una funzione positiva, Vedere i videogame come anche l’utilizzo della tecnologia come negativo è in genere più frequente in chi conosce poco i mezzi digitali e gli si avvicina con diffidenza, la tecnologia sembra un calderone indifferenziato che riflette ragazzi dipendenti e senza volontà. A guardarli meglio, se  sono dipendenti non è dalla tecnologia, ma dalle relazioni sociali – aspetto caratteristico del periodo adolescenziale e non della multimedialità – che la tecnologia consente di tenere sempre in corso. La difficoltà è piuttosto quella di regolare la presenza delle relazioni in ogni momento della giornata.

Se da fuori sembrano in balia, avvicinandoli meglio si coglie tutto il mondo di un adolescente moderno, che non è diverso da quello delle generazioni precedenti: i ragazzi di oggi si incontrano virtualmente sui social per giocare e parlare, si raggiungono vocalmente o tramite messaggi, con gli smartphone ascoltano insieme la musica o vedono film o videoclip, fanno ricerche per la scuola, correggono compiti su studenti.it,  ecc… Insomma fanno le stesse cose semplicemente con strumenti diversi e allora dov’è la differenza? Il loro modo di muoversi nella e con la tecnologia è una delle forme che assume oggi lo scontro generazionale, l’oppositività adolescenziale, la battaglie per la conquista dell’autonomia. Come genitori dobbiamo imparare a convivere con tanti sentimenti nuovi di fronte ai figli adolescenti, dobbiamo sforzarci di vedere le cose da  altri punti di vista, prendere consapevolezza che i nostri ragazzi hanno un rapporto privilegiato con i mezzi tecnologici e che questo è molto diverso dal nostro.

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