Indossa la maglietta nera. Il motto di Daesh stampato sopra: “Non c’è divinità se non Dio. Maometto è l’Inviato di Dio”. In testa la kefiah. E’ il 2015. Una foto lo immortala così, prima di salire sul ring. Una pessima provocazione. Invece no. Perché un anno dopo il kickboxer è veramente pronto ad appendere i guantoni al chiodo, a chiudere con le arti marziali. Senza smettere di combattere, però. Non più sul quadrato, ma in Siria, con la famiglia, tra le fila del Califfato. Poi il contrordine, che arriva direttamente dall’Isis. Ed è la prima volta che accade per l’Italia. Combattere, certo. Ma nelle metropoli dei “crociati”. Roma. O forse Milano. “Sgozzando col coltello, al grido di Allah Akbar”. Facendosi saltare in aria con la cintura esplosiva. Era questa la missione di Abderrahim Moutaharrik, 28 anni, marocchino con cittadinanza italiana, residente a Lecco. In apparenza il suo è l’identikit di un immigrato perfettamente integrato. Un lavoro dignitoso come operaio in una ditta produttrice di macchinari per panifici a Valmadrera. Il matrimonio con Salma Bencharki, 26 anni. I due figli, sei e due anni. Una discreta fama nel mondo della kickboxing e un palmares di tutto rispetto: 14 match disputati, 12 vinti, di cui 5 per ko, un pareggio e una sola sconfitta. Sul suo profilo Facebook, foto di incontri e degli allenamenti nella palestra Fight Gym Club di Lugano. Alle spalle un passato da sbandato. Lo dice lui stesso mentre è intercettato dalle cimici piazzate dagli investigatori: “Una volta avevo un gruppo di amici stranieri e ci incontravamo sempre in Stazione, c’erano albanesi, marocchini e ci trovavano per bere e fare cavolate, facevo una brutta vita ma adesso mi sono svegliato”.

Una parabola simile a quella compiuta dalle vite di altri “martiri” indottrinati in Occidente. Come i fratelli Abdeslam. O come gli altri macellai di Parigi e Bruxelles cresciuti nelle strade di Molenbeek. Un’esistenza come tante altre, consumata nella provincia profonda. Ma tutto sommato normale. Solo in superficie, però. Perché oltre alla palestra, alla fabbrica e alla famiglia, Moutaharrik coltiva una fede malata, che lo avvicina all’Islam radicale. E divora tutto quello che c’è intorno. Le microspie lo registrano a febbraio mentre parla in auto con Abderrahamane Khachia, 23enne marocchino residente in provincia di Varese, anche lui arrestato nell’operazione antiterrorismo dei Ros e della Digos, coordinati dalla Procura di Milano. Racconta un episodio del 2009: “Ci sono tante, tante storie, amico mio. Io una volta mi sono alzato e messo a progettare… ho detto che voglio picchiare (inteso come colpire e far esplodere) Israele a Roma” dice Moutaharrik, che continua: “L’Ambasciata… e sono andato da un ragazzo albanese a Varese e gli ho detto di procurarmi una pistola, la volevo comprare da lui e forse lui si è insospettito di me e mi ha girato le spalle, quante volte l’ho chiamato ma mi ha trovato la pistola, mi ha trovato la pistola, ma lui…”. O ancora il 22 marzo 2016. Quando Bruxelles è sotto assedio per gli attacchi all’aeroporto e alla metropolitana. I coniugi Moutaharrik ridono ascoltando le notizie che arrivano dal cuore dell’Europa ferito. Dicono di voler partire il più presto possibile con la speranza che anche Roma viva la morte e il terrore vissuto dal Belgio. “Vedrai a Roma, vedrai dappertutto, vedrai, 3 uomini o 4 uomini distruggono, distruggono un’intera… un’intera un’intera città”, dice alla moglie, anche lei finita in manette.

Ma non ci sono solo le parole. Anche le frequentazioni di Moutaharrik sono importanti per calibrare la sua pericolosità. Perché si tratta di figure di primo piano del jihadismo italiano: Oussama Khachia e Mohamed Koraichi. Il primo è un amico ed è il fratello di  Abderrahamane. Espulso prima dall’Italia,dove ha vissuto per anni, poi dalla Svizzera. Un foreign fighter partito per la Siria e morto in Iraq alla fine del 2015. “Verosimilmente – scrivono i magistrati dell’antiterrorismo di Milano – nella città di Ramadi durante un raid aereo dalla coalizione nei confronti dei miliziani” dell’Isis. Anche il secondo è un amico di vecchia data e vero regista della sua radicalizzazione. Insieme, Moutaharrik e Koraichi frequentano la moschea di Costa Masnaga e l’associazione culturale “La Tolleranza” di Lecco. Poi, nel 2015, Koraichi lascia la casa popolare di Bulciaghetto alla volta della Siria, trascinando con sé la moglie Alice Brignoli e i tre figli maschi di 7, 6 e un anno e mezzo, come ha raccontato un mese fa ilfattoquotidiano.it. Anche loro sono destinatari di due delle sei ordinanze di custodia cautelare emesse oggi. Nelle terre del Califfato Koraichi diventa un combattente di spicco. Mentre in Italia – secondo le indagini – sua sorella Wafa Koraichi (arrestata oggi) è un punto di riferimento per gli aspiranti foreign fighters. Intanto il desiderio di morire per Allah cresce in Moutaharrik. Il punto di rottura nella sua vita arriva con l’uccisione dell’amico Oussama Khachia al fronte. Da qui la decisione di partire. Ed è proprio tramite Wafa che chiede la “tazkia” (letteralmente “benedizione”, una sorta di raccomandazione per entrare in Daesh) a Mohamed Koraichi. Il 15 marzo 2016 è “il grande giorno“, si legge nell’ordinanza d’arresto. Dalla Siria arriva il “certificato di fedeltà” al Califfo. Moutaharrik riceve su WhatsApp un messaggio audio dall’amico. Festeggia con canti jihadisti. Ormai è dentro l’organizzazione. Il 20 marzo gliene arriva un altro da un sedicente sceicco in contatto con Koraichi, che gli inquirenti non hanno potuto identificare. Ma probabilmente è una figura importante nell’organizzazione terroristica. Nella nota vocale viene invitato “a fare questo bene lì nei paesi dei cristiani, a Roma, in Italia”. Una sorta di contrordine rispetto al desiderio di raggiungere le terre di Daesh. Ma Moutaharrik risponde subito. Entusiasta. “Che Dio ti benedica Sheiko. Se Dio vuole avranno la brutta notizia. Ci, vendicheremo di loro. Che Dio vi protegga e ci sarà la vostra vittoria sul popolo degli ingiusti. Se Dio vuole da noi non vedranno altro che macellazione e uccisione, se Dio vuole vi raggiungeremo”.

Per gli inquirenti il messaggio dello “sceicco” ha un’importanza storica. Per la prima volta emerge da un’inchiesta giudiziaria la prova che l’Isis ha dato il via libera per colpire l’Italia. Ma l’ordine dalla Siria delinea anche la strategia degli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi: meglio attivare i “lupi solitari” nei paesi di origine, piuttosto che farli arrivare al fronte, dove le milizie nere sono in difficoltà. Lo spiega bene in un altro messaggio audio Mohamed Koraichi: “Giuro, giuro che queste operazioni che fanno questi lupi solitari è meglio fratello mio di 20mila attacchi, giuro, giuro fratello mio, perché fa paura, spavento, li blocca al loro limite e non ce la fanno perché gli infedeli quando li attacchi sopra le loro case, loro non vivranno mai in pace, hai capito?”. Moutaharrik ha capito. Accetta. Ad una condizione: “Voglio almeno che i miei figli crescano un po’ nel paese del Califfato dell’Islam, il paese dove c’è la legge islamica, questa è l’unica richiesta che voglio (…) se riesco a mettere la mia famiglia in salvo, giuro sarò io il primo ad attaccarli, giuro che li attacco, sarò il primo ad attaccarli in questa Italia crociata, il primo ad attaccarla, giuro, giuro che l’attacco, nel Vaticano”.

Tutto sembra ormai pronto per sferrare l’attacco all’Italia. L’ultimo segnale arriva l’8 aprile 2016. Appena 20 giorni fa. Un altro messaggio dalla Siria. “Il poema bomba”. Così lo chiama lo sceicco. Una sorta di poesia jihadista dedicata all’aspirante martire Moutaharrik. “Ascolta lo Sheico, colpisci! Dalle tue palme, eruttano scintille, e sgozza, che con il coltello, è attesa la gloria, fai esplodere la tua cintura nelle folle dicendo ‘Allah Akbar’! Colpisci! Esplodi come un vulcano, agita chi è infedele. Affronta la folla del nemico, ringhiando come un fulmine, pronuncia ”Allah Akbar’ e esploditi! O leone! Che non si abbassa, questa è la brigata della gloria, che vince, questo è il nostro Califfato, ritorna in cima, ridà all’Islam la sua gloria, i suoi battaglioni che hanno scosso le vicinanze e sono andati ad annientare gli infedeli senza cedere”. Gli investigatori intervengono prima che tutto ciò avvenga. E Abderrahim Moutaharrik questa volta perde la battaglia. Quella più sanguinosa.

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