“I nostri partner hanno presentato una proposta-ultimatum alla riunione dell’Eurogruppo, prendendo di mira la democrazia greca e il popolo greco. Un ultimatum che va contro i principi e i valori fondanti dell’Europa. Questa sera il governo è stato convocato e ho proposto un referendum, in modo che il popolo greco possa decidere. La mia proposta è stata accettata all’unanimità”. Era il 27 giugno 2015. Il primo ministro greco Alexis Tsipras, dopo settimane di trattative con i creditori e davanti ai nuovi tagli e alle misure di austerity chieste come contropartita per lo sblocco di 7,2 miliardi di aiuti, aveva deciso di sparigliare le carte annunciando in diretta tv una consultazione popolare sul piano di Uetroika. Al referendum, come è noto, hanno trionfato i no. Un esito calpestato però dall’accordo del 12 luglio, con cui il premier ellenico ha accettato un pacchetto di riforme durissime in cambio di un terzo piano di assistenza finanziaria da 86 miliardi destinato per la maggior parte al rifinanziamento del debito pregresso e alla ricapitalizzazione delle banche.

A nove mesi di distanza siamo (quasi) al punto di partenza. Con la differenza che oggi il Paese è anche alle prese con l’emergenza migranti, che accanto al dramma dei rifugiati bloccati nei “campi” comporta per Atene pesanti ricadute economiche: dai costi per l’assistenza ai rischi per l’andamento della prossima stagione turistica. La situazione sociale resta drammatica, con il tasso di disoccupazione inchiodato al 25% e il settore sanitario vicino al collasso.

“Requisiti” i fondi di ospedali, scuole e Agenzia per l’occupazione – L’ultima notizia è che lo Stato ha di nuovo imposto a ospedali e scuole, oltre che al Parlamento, agli enti locali e all’Agenzia per l’occupazione, di trasferire i loro depositi nei forzieri della Bank of Greece. Secondo Reuters, nel mese di aprile sono stati “requisiti” circa 500 milioni di euro. Saranno utilizzati per coprire eventuali esigenze di liquidità – cioè per pagare stipendi pubblici e pensioni – in attesa che si concluda la prima “revisione” dei creditori sull’attuazione delle misure di austerità, che si doveva concludere lo scorso dicembre mentre è ancora in corso. “Un anno fa il governo ha svuotato i fondi pensione e messo le mani sui soldi dei gruppi statali e delle municipalità. Ora rompono il salvadanaio e si prendono la poca liquidità rimasta a ospedali, Parlamento e enti pubblici”, ha attaccato Kyriakos Mitsotakis, leader di Nea Demokratia, in forte ascesa e bestia nera di Tsipras. “Non imparano dagli errori che hanno già fatto del mal ai cittadini e portato il Paese sull’orlo del disastro. L’unico servizio che possono rendere al Paese è lasciarlo”.

A luglio nuova scadenza. E la troika vuole più tagli – In luglio Atene – altro deja vu – deve rimborsare 3,5 miliardi alla Bce. Ma per sbloccare la seconda tranche di aiuti del nuovo pacchetto (5,7 miliardi) i rappresentanti della troika e del Fondo europeo di stabilità pretendono di legare le mani al governo imponendo, nel caso in cui non rispettasse gli ambiziosi obiettivi di bilancio fissati di qui al 2018, misure lacrime e sangue aggiuntive che consentano di risparmiare altri 3 miliardi di euro. L’Eurogruppo di venerdì 22 aprile si è chiuso con la richiesta ufficiale di varare entro la fine di questa settimana un “pacchetto di contingenza“, molto simile alle nostre famigerate “clausole di salvaguardia” su Iva e accise: nuovi tagli e tasse che scatterebbero in modo automatico se i conti vanno in sofferenza. “Serve a dare certezze ai creditori”, ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici. D’accordo anche l’Fmi, secondo cui occorre “legiferare in anticipo” e il pacchetto di interventi deve essere “credibile e applicarsi automaticamente” se necessario.

Creditori di nuovo in rotta sull’alleggerimento del debito – Per indorare la pillola, i partner europei hanno annunciato che si inizierà a discutere di come alleggerire il peso del debito, che è ancora al 176% del pil: il punto su cui i creditori si erano arenati l’estate scorsa. Quel che è sicuro è che non sarà un taglio tout court dei 337,6 miliardi di esposizione di Atene. Potrebbe trattarsi di un allungamento dei tempi di rimborso, di una riduzione dei tassi di interesse o della concessione di un lungo periodo di “grazia” durante il quale il Paese non dovrebbe pagare nulla. Senza aperture su questo fronte che rendano il debito sostenibile, del resto, il Fondo presieduto da Christine Lagarde non intende partecipare al piano di aiuti perché ritiene “irrealistico” che Atene possa mettere a segno un surplus primario (la differenza tra entrate e uscite) del 3,5% del pil dal 2018 in avanti. La Germania, ora come allora, non ne vuole sapere. Ma il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha anche ribadito che se l’Fmi non sarà della partita Berlino si tirerà indietro. E un intervento sul debito è conditio sine qua non dell’impegno del Fondo di Washington. La partita è aperta.

Gli analisti fanno notare che non è interesse di nessuno che si torni a parlare di Grexit della crisi greca mentre l’Europa è alle prese con l’incognita Brexit. Ma mercoledì 27 Schaeuble ha risposto con un secco no alla richiesta di Tsipras di indire un vertice straordinario dei leader dell’Ue sulla Grecia per “riaffermare quanto concordato ed evitare un nuovo ciclo di incertezza per l’Eurozona”. Secondo Schaeuble “i colloqui non hanno fatto molti progressi”. Non ci sono quindi le precondizioni richieste dal presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem per convocare i ministri delle Finanze dell’Eurozona.

Tsipras pronto al sì. Ma il ministro Tsakalotos rema contro – Tsipras, secondo indiscrezioni, era disposto a dire sì al pacchetto di contingenza, contando sul fatto che i tagli automatici alla fine si rivelassero non necessari. Ma il vero problema del premier, ulteriore deja vu, è interno: in Parlamento può contare su una maggioranza risicatissima (153 voti su 300) e il ministro dell’Economia gli sta mettendo i bastoni tra le ruote. Euclides Tsakalotos, successore di Yanis Varoufakis, ha messo infatti in chiaro che “nella legislazione greca non è possibile approvare delle misure di contingenza, cioè che entrano in vigore in un dato momento se una data cosa accade” e non intende cedere nemmeno alla richiesta dei creditori di ridurre ulteriormente la soglia di reddito sotto la quale non si pagano le tasse. Per il governo greco “è cruciale che l’intero pacchetto, riforme e debito, dia il chiaro segnale agli investitori greci e a quelli internazionali, ai cittadini greci e a quelli europei che la Grecia ha svoltato, che c’è una chiara strada per uscire dalla crisi, in modo che si possa tornare ad investire, a consumare“, ha spiegato Tsakalotos. Il cui nome compare tra i firmatari di un duro documento anti austerity preparato dalla corrente di Syriza “gruppo dei 53“.

La conta si farà a inizio maggio, quando è stato calendarizzato il voto parlamentare sulle nuove riforme del fisco e delle pensioni (quelle già previste dall’accordo di luglio): taglio degli assegni “supplementari”, aumento dell’aliquota Iva massima dal 23 al 24%, ritocco all’insù dell’Irpef e delle tasse sui giochi, tassa di solidarietà sui redditi oltre i 12mila euro.

Intanto il Pil cala e le privatizzazioni non decollano – Finora Atene ha incassato solo la prima tranche del terzo pacchetto di aiuti varato ufficialmente lo scorso agosto. Nel frattempo, i conti pubblici si sono stabilizzati. Il 2015 si è chiuso con un calo del pil dello 0,2% e per quest’anno l’Fmi prevede una contrazione dello 0,6%, ma per il 2017 è stimato un +2,7%. L’avanzo primario 2015 si è attestato allo 0,7% del pil, meglio dei target fissati nel piano di salvataggio. Lagarde ha però ventilato che quei numeri, diffusi da Eurostat, possano rivelarsi inattendibili: “Sono migliori di quello che pensavamo, di quello che pensavano tutte le istituzioni e anche di quello che pensavano le autorità greche. E, se sono esatti, avranno un impatto su tutti i nostri calcoli”, ha detto. Ma “abbiamo già visto in passato che la stessa Eurostat ha spesso rivisto i suoi numeri: il 2013 è stato un esempio emblematico, quando in aprile venne annunciato un 1,5% e poi è stato rivisto al ribasso due volte, per arrivare allo 0,5%”.

Le privatizzazioni intanto vanno a rilento, come prevedibile fin dall’inizio, rispetto ai 50 miliardi preventivati. A fronte dei quali la Grecia ha dovuto conferire a un fondo ad hoc un vasto pacchetto di beni pubblici destinati alla vendita. Finora di sicuro c’è solo che nelle casse di Atene entreranno 1,5 miliardi grazie alla vendita del porto del Pireo a Cosco Cina. Altri 1,2 miliardi sono arrivati da Berlino: il gestore aeroportuale tedesco Fraport si è infatti aggiudicato per quella cifra l’affitto e la gestione per 40 anni di 14 aeroporti regionali, tra cui i redditizi scali di Corfù, Kos, Rodi, Salonicco, Santorini e Zante.

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