Ancora una volta le parole si rivelano decisive nell’eterna contesa politica sul verisimile e l’inverosimile, che ha in palio il controllo sulle menti o la loro liberazione; particolarmente accentuata all’epoca in cui l’intreccio tra Comunicazione e Potere diventa di giorno in giorno sempre più inestricabile. La solita questione del Dominio che si riveste di Verità, creando una neolingua per confondere le idee e avvalorare false rappresentazioni della realtà.

Sono oltre vent’anni che dalle nostre parti i manipolatori linguistici sono all’opera, per un padrone che cambia faccia e nome ma che promuove sempre l’identico disegno strategico: i laboratori illusionistici che lavoravano per Silvio Berlusconi (copyright: “comunista”, “giustizialista”, “quelli che amano contro quelli che odiano”), passati armi e bagagli al servizio di Matteo Renzi (copy: “rottamare”, “gufi”, “politica del fare”). Produttori di un armamentario lessicale che si rinnova nel tempo, eppure mantenendo un filo conduttore che non si spezza mai; evidenziato da un evergreen terminologico: populista.

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Come le altre parole trabocchetto (da “comunista”, per criminalizzare chi vorrebbe contrastare l’egoismo menefreghista elevato a unico metro di giudizio, a “gufo” per infangare a prescindere l’esercizio della critica), “populista” si trasforma in un suono carico di esecrazione, finalizzato a indurre subliminalmente immediata ripulsa nell’uditorio, nonostante che nelle pratiche contemporanee si riferisca a ben altre funzioni; particolarmente meritorie: contrastare gli effetti anti-popolari delle scelte politiche a supporto dell’egemonia del privilegio e della disuguaglianza, tuttora imperanti. Segno lampante che le nobili intenzioni di passate stagioni (giustizia sociale, accesso alle opportunità, promozione dei diritti) sono definitivamente svanite.

Come definire questa distorsione linguistica? Stante la difficoltà di trovare nel linguaggio corrente una parola che incorpori adeguato sdegno per questa ciclopica opera di mistificazioni a scopo di grassazione sistemica, questa turlupinatura a livello epocale, qui si propone di ricorrere a un neologismo: “imbroglionista”.

Che altro è se non imbroglionismo la campagna di disinformazione, messa a punto dagli gnomi nelle officine governative della comunicazione, per disinnescare l’appuntamento referendario di domenica? Il cui quesito viene svilito a populistico e la cui convocazione viene infangata con la duplice pretestuosità dell’insignificanza e dell’onerosità (in questo secondo caso, un aggravio di spese che rappresenta il fisiologico costo della democrazia; che poteva essere risparmiato accorpando la consultazione alle imminenti amministrative. Scelta non fatta per inceppare il raggiungimento del quorum). Così come imbroglionistico è il terrorismo sulle migliaia di posti di lavoro in pericolo e i danni, favoleggiati come incalcolabili, inferti alla raccolta nazionale di idrocarburi.

Sicché, al di là della specifica questione, su cui era necessario aprire un dibattito chiarificatore che l’imbroglionismo ha reso impossibile, ormai l’appuntamento di domenica prossima acquisisce valenze di principio ancora più generali:
A. Una ferma presa di posizione a difesa delle norme costituzionali che sanciscono la tutela dell’ambiente (e la trivellazione d’alto mare inquina in misura non trascurabile lo specchio acqueo interessato);
B. Una altrettanto decisa ripulsa di uno stile di governo, che utilizza le modalità imbonitorie per camuffare la realtà, e le tecniche ricattatorie (dopo di me il diluvio) per imporci i propri voleri capricciosi.

Un altolà per questi costruttori di verità fasulle. In modo tale che – come diceva Oscar Wilde – “la verità, prima o poi, verrà smascherata”.

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