Le concessioni erano scadute, le società avevano richiesto le proroghe, il Ministero non aveva risposto. Ma si continuava a trivellare, pur senza alcun titolo. Il via libera del dicastero dello Sviluppo economico? Un affare burocratico trascurabile. E dall’esito scontato. Come si evince dai dati ministeriali, 9 delle 44 concessioni oggetto del referendum del 17 aprile erano già scadute a fine 2015, alcune da mesi, altre da anni (una addirittura dal 2009). Le compagnie avevano già presentato istanza di proroga e il Mise non aveva ancora dato il via libera. Eppure si è continuato a operare o comunque a mantenere in piedi le piattaforme. Si tratta di concessioni che riguardano la produzione di gas in quattro regioni (Emilia Romagna, Veneto, Abruzzo e Marche) ed oggi non sono più considerate scadute per effetto della legge di Stabilità. Tutto confermato a Ilfattoquotidiano.it dal Mise, che ne era a conoscenza, come si evince dal Bollettino degli Idrocarburi pubblicato il 31 dicembre scorso. “Spesso l’esame tecnico delle istanze e delle attività va oltre il termine di scadenza della concessione” spiegano dal ministero, sottolineando che “all’atto della proroga questa comunque decorre dalla data di scadenza”. Dunque tutto ‘sanato’. A posteriori. Anche perché in questo caso è subentrata la legge di Stabilità 2016 entrata in vigore il 1 gennaio, che ha modificato la disciplina sulla durata delle concessioni, legandola alla ‘vita utile del giacimento’ ed eliminando il regime delle proroghe con effetto retroattivo. “Nessuno volle spiegare il perché di quella norma spuntata quasi dal nulla” dice Enrico Gagliano, del Coordinamento Nazionale No Triv, secondo cui “quanto accaduto ha dell’incredibile” e “la legge evidentemente serviva a sanare il pregresso e a rimettere in carreggiata le relative concessioni, quasi tutte di Eni”. La multinazionale preferisce non rispondere, ma fonti interne sottolineano come i controlli siano stati sempre eseguiti, anche dopo la scadenza delle concessioni per le quali, comunque, la società aveva chiesto la proroga a tempo debito. E poi c’è la logica industriale: non si montano e smontano piattaforme in una settimana. E qui c’erano in gioco, solo per le concessioni produttive, 24 piattaforme e 40 pozzi eroganti. Quattro, invece, le concessioni non produttive, per le quali comunque era stata chiesta la proroga.

LE CONCESSIONI PRODUTTIVE SCADUTE – Le concessioni in questione sono 9 ed erano tutte scadute il primo gennaio 2016, quando è entrata in vigore la legge di Stabilità. Cinque sono classificate dal Mise come ‘produttive’. Questi titoli (non più scaduti per effetto della norma) riguardano le attività svolte complessivamente attraverso 35 piattaforme marine, 41 pozzi eroganti e 115 non eroganti. Partiamo dai titoli produttivi. La concessione A.C 1.AG (rilasciata a Eni), scadeva il 14 settembre 2015, mentre l’istanza di proroga è stata presentata dalla società il 30 settembre 2013: 7 le piattaforme e 19 i pozzi collegati al largo tra la marina di Ravenna e Cervia. Area vicina a quella interessata dalla concessione A.C 2.AS (Eni), che scadeva il 3 dicembre 2015 (istanza presentata il 9 dicembre 2013): 4 piattaforme e 7 i pozzi. Più a nord lo specchio d’acqua su cui insistono 4 piattaforme ‘Agostino’ e 8 pozzi nell’ambito della concessione A.C 3.AS (Eni), scaduta anche questa il 3 dicembre 2015 (istanza del 29 novembre 2013). Poi c’è la A.C 8.ME (Eni), che riguarda le acque antistanti Rimini e Cesenatico, con scadenza il 5 novembre 2015 (istanza presentata il 9 dicembre 2013): 4 piattaforme e 2 pozzi. Fin qui tutte concessioni in Emilia Romagna. Per le acque abruzzesi è stata rilasciata la B.C 5.AS scaduta il 12 novembre 2014 (istanza di proroga presentata il 13 marzo 2012): 5 piattaforme e 4 pozzi in un’area più vicina alla costa a Nord di Pescara. La società concessionaria è la Adriatica Idrocarburi (100 % Eni spa). Per nessuna di queste concessioni c’è stato il via libera del Mise alla nuova richiesta di proroga.

LE CONCESSIONI NON PRODUTTIVE – Per le concessioni ‘non produttive’ le scadenze sono parecchio più datate. E in questo caso è lecito chiedersi perché mai le società abbiano comunque chiesto delle proroghe. Nonostante siano basse le probabilità che da quei pozzi possano uscire quantità di gas importanti. Il dubbio è che si volesse scongiurare l’ipotesi di un imminente smantellamento, a costi esorbitanti. La A.C 9.AG (Eni) è scaduta nell’ottobre del 2009 e l’anno prima fu presentata istanza di estensione, la A.C 14.AS (Eni ed Edison) è scaduta nel marzo 2011 e, anche in questo caso, la richiesta è arrivata sul tavolo del ministero un anno prima. Entrambe riguardano specchi di acqua davanti al Veneto. La B.C 1.LF (Abruzzo) è scaduta il 27 agosto 2015, ma l’istanza di Edison è datata 13 agosto 2013. Di quelle non produttive è l’unica alla quale il sito del ministero collega un pozzo erogante, ma la società non ha comunque mai ricevuto risposta dal Mise. L’ultima, la B.C 2.LF (Marche) è scaduta il 2 dicembre 2015 e l’istanza è stata presentata il 17 dicembre 2013 da Edison.

IL MISE: “VENGONO FATTI CONTROLLI CONTINUI” – Il Ministero fa sapere che l’esame tecnico delle istanze e delle attività “va spesso oltre il termine di scadenza della concessione”. E che cosa accade in caso di incidente? Chi ne risponde? “I controlli sulle piattaforme e sui pozzi vengono fatti dall’organo di controllo (UNMIG) continuamente per tutti gli impianti attivi” puntualizza il Mise, mentre “i riscontri delle attività di verifica svolte sono riportati sul sito della DGS-UNMIG (Direzione generale per la sicurezza-Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse) e nel rapporto annuale (in corso l’uscita del rapporto 2016 relativo all’attività 2015)”.
I NO TRIV: “MINISTERO INADEMPIENTE” – “Di fronte ad istanze di proroga delle concessioni  presentate con largo anticipo rispetto alla scadenza originaria – commenta Enrico Gagliano – il Mise non ha effettuato le necessarie verifiche”. Non essendosi pronunciato sull’istanza, per il coordinatore dei No Triv “il Ministero era inadempiente, giacché il provvedimento amministrativo deve essere espresso. Non ci possono essere provvedimenti taciti”. Eni ha continuato a estrarre gas anche oltre la scadenza dell’autorizzazione “contro ogni previsione di legge”. Poi è arrivato l’emendamento e l’approvazione della Legge di Stabilità entrata in vigore il 1  gennaio 2016 “che ha sanato tutto con efficacia retroattiva”. Per Gagliano “di fronte a un atto così grave, è doverosa la rimozione del responsabile della direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, Franco Terlizzese”. Ed è necessario che il Governo Renzi “risponda di quanto accaduto al Paese e in Parlamento”. E nel frattempo si continua a trivellare, senza infrangere la nuova legge. Che ha sanato i vecchi ritardi.

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