Chiamare qualcuno “frocio” non è un atto di omofobia: almeno se si tratta di un parrucchiere. A questa conclusione si arriva leggendo la sentenza di un giudice del lavoro di Parigi che ha respinto il ricorso di un lavoratore omosessuale. La decisione ha scatenato le solite polemiche sui social network, ma anche l’indignazione di Miryam El Khomri, ministro del Lavoro, che si è detta “profondamente scioccata”.

Veniamo ai fatti. Un giovane, assunto in un negozio nella capitale francese con un contratto a tempo indeterminato, è stato licenziato pur non avendo ancora concluso i due mesi iniziali di prova. Ma il motivo lo ha scoperto mentre era a casa in malattia, quando ha ricevuto un sms dalla sua principale. Che evidentemente non era diretto a lui, anche che aveva lui come oggetto. “Non lo tengo questo – scriveva la donna -. Non lo sento proprio. È un frocio e loro poi ti fanno sempre qualche colpaccio da puttana”. Il giorno dopo il lavoratore era stato licenziato e il provvedimento motivato con il giorno d’assenza.

Il ricorso al giudice, in cui si contestava il licenziamento per discriminazione sessuale, però non è servito. La sentenza, emessa all’inizio di gennaio, è stata resa nota solo negli ultimi giorni grazie a un tweet postato da un giornalista militante della causa Lgtb, Mathieu Brancourt. Il magistrato ha imposto alla società da cui dipende il negozio di parrucchiere di pagare una multa di 5mila euro alla persona licenziata “perché non è serio da parte di un datore di lavoro rompere un contratto per l’assenza di un giorno per malattia”. Ma, riguardo all’sms, il giudice ha scritto nero su bianco che non è espressione di omofobia, “perché è risaputo che nei saloni di parrucchieri vengono impiegate regolarmente persone omosessuali, soprattutto in quelli per donne, senza che questo ponga mai alcun problema”.

A parte questa constatazione, il giudice ha giudicato alla fine lecito il licenziamento “per una serie di mancanze da parte del parrucchiere e per le sue difficoltà d’integrazione nel team del negozio”. La dirigente, in effetti, ha fatto notare che “lavorava lentamente” e “si rifiutava a svolgere alcune mansioni”. I dirigenti della società hanno anche fatto rilevare che “l’sms era inappropriato”, ma “quel termine (ndr, frocio) è ormai entrato nel linguaggio comune e in quel contesto era stato pronunciato senza alcuna connotazione negativa”. Il parrucchiere ha deciso di fare ricorso.

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