Bocciato. Ha dato risposte «non esaustive» e non soddisfacenti. Anzi, addirittura colpevoli di «inadeguatezza» e di «inconsistenza». Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, non è piaciuto ai senatori del Comitato per le questioni degli Italiani all’estero, che hanno bocciato all’unanimità le sue spiegazioni sulle tante, troppe criticità emerse nell’indagine sull’operato dei patronati esteri, a partire da quelli legati ad Acli, Cgil, Cisl e Uil. E infatti il 23 marzo, sempre all’unanimità, il Cqie – peraltro presieduto da un Pd, Claudio Micheloni, eletto in Svizzera – ha approvato una relazione che accusa esplicitamente il ministro dem per i suoi silenzi nei confronti dei patronati e dei sindacati.

DOMANDE E RISPOSTE «Sin dall’avvio dell’indagine si è proceduto a richiedere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali documentazione sull’attività ispettiva all’estero», mettono infatti nero sul bianco i senatori. Ma «la documentazione è pervenuta solo dopo numerosi solleciti» e, addirittura, «il direttore generale competente non è intervenuto in audizione», benché ovviamente invitato (e sollecitato) più volte. Uno sgarbo istituzionale, quello del ministero, iniziato nel maggio 2015, quando il sottosegretario Luigi Bobba, noto esponente di quelle Acli a cui fa capo il più potente dei patronati, in audizione si era dichiarato non competente in materia. Le domande eluse da Bobba erano allora state inviate al ministero: ma, anche lì, silenzio tombale. Fino a quando, un mese fa, i senatori non hanno minacciato di portare tutti i documenti in Procura.

ARRIVA POLETTI Il 18 marzo, finalmente, Poletti si è fatto vivo. Ma le sue 7 pagine di risposta non hanno tranquillizzato il Cqie: nel documento conclusivo del loro lavoro, infatti, visti «i risultati della presente indagine» e l’«inadeguatezza» delle risposte del ministro, i senatori sostengono la necessità e l’urgenza di una «immediata riforma dell’attività dei patronati». E propongono di costituire al più presto, insieme alla commissione Lavoro del Senato, «un comitato ristretto volto alla elaborazione di una proposta legislativa di riforma».

FUORI MANO Riforma sì, Procura no? Non è detto. Le «criticità» emerse nel corso dell’indagine sono tali e tante che all’interno del Cqie si sta ancora valutando l’ipotesi di consegnare ai magistrati sia il materiale raccolto sia la lettera del ministro, da cui emerge sostanzialmente la conferma che la situazione è sfuggita di mano. La legge prevede controlli annuali su tutte le sedi estere dei patronati, ma tra il 2008 e il 2012, le ispezioni sono state solo 159, cioè «una media di 40 paesi l’anno su più di 20 paesi e circa 476 sedi di patronato». Troppo poche, secondo il Cqie. Poletti si è difeso spiegando che i soldi per le ispezioni vengono messi a disposizione del ministero solo dopo l’approvazione della legge di assestamento del bilancio, e «quindi a fine ottobre», pregiudicando, di fatto, «l’effettiva realizzazione delle missioni».

TUTTI IN SPAGNA Ma non sa, il ministro, che le ispezioni sono finanziate coi quattrini dei lavoratori, ossia con lo 0,10 per cento dei soldi versati all’Inps, e dunque non sono assoggettate all’approvazione di commi ad hoc della Finanziaria? Sono circa 400 mila euro l’anno che il Minlavoro riceve di default, ma non si capisce come o dove spende. Basta dire che, nel 2016, in tutta Europa (l’area geografica in cui i patronati si fanno pagare il numero più alto di pratiche) è prevista un’unica ispezione, e precisamente in Spagna, dove i patronati lavorano pochissimo.

PRATICHE A RISCHIO E’ tutto molto bizzarro, a essere benevoli: il ministero paga ai patronati all’estero quasi 40 milioni di euro l’anno praticamente a scatola chiusa, fidandosi delle autocertificazioni inviate dalle sedi sparse tra Montreal e Sidney, Francoforte e Buenos Aires. Peccato che talvolta queste sedi non esistano nemmeno, come si è scoperto nel 2011 a Berna, dove i senatori segnalano che «non è stato possibile svolgere l’ispezione per irreperibilità del responsabile e inesistenza della sede» dell’Enas. Quando poi esistono, gli uffici esteri rifilano sistematicamente al ministero il pagamento anche di «pratiche con mandato di patrocinio irregolare, o prive di patrocinio, o con documentazione mancante o insufficiente»…

FUORI BILANCIO Insomma, un caos. Aggravato da bilanci renitenti od oscuri («Appare non più rinviabile l’obbligo a presentare un bilancio analitico »), dalla difficoltà a «individuare la responsabilità, ai vari livelli, tra enti promotori, istituti di patronato e associazioni all’estero», dalla «notevole mancanza di coordinamento tra centro e periferia» e dalle ispezioni (attenzione: «probabilmente spesso preannunciate alle sedi estere») i cui criteri «non sono univoci», la cui «durata non è sempre comprensibile» e i cui verbali «sono spesso poco intelligibili». E poco affidabili, oltretutto. Tanto che «a Zurigo, dove si è verificato il caso della truffa ai pensionati, vi sono state solo due ispezioni tra il 2001 e il 2008 e gli ispettori inviati dal ministero non hanno rilevato alcuna anomalia».

TAGLI ITALIANI Come se non  bastasse, negli ultimi anni si è creata un situazione paradossale. Secondo il deputato Pd Fabio Porta, eletto in Sud America e presidente alla Camera del Comitato sugli italiani nel mondo e la promozione del sistema Paese, la Farnesina, per risparmiare, dal 2007 a oggi ha tagliato «5 ambasciate e 47 consolati di prima e seconda categoria», lasciando senza assistenza decine di migliaia di nostri connazionali. Eppure, secondo i senatori, il ministero del Lavoro «legittimerebbe l’apertura di altre sedi estere dei patronati» proprio nelle circoscrizioni consolari oggetto di chiusura, incentivando in pratica la sostituzione della rete consolare con quella dei patronati e, di fatto, privatizzandola. Segnala il Cqie che in Germania «nel solo distretto di Francoforte sussistono n. 17 uffici di patronato e nel distretto di Friburgo n. 13 uffici», e che in totale, sul territorio tedesco, la Ital-Uil ha aperto ben 41 sedi. Solo per beneficenza? O c’è qualche business, là sotto, da capire meglio?

 

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