Scrisse Sir Josiah Stamp che “il governo è molto arguto nell’ammassare grandi quantità di statistiche. Le colleziona, le somma, le eleva all’ennesima potenza, ne estrae la radice quadrata e prepara impressionanti diagrammi. Ciò che non si deve mai dimenticare, comunque, è che in ogni caso le cifre vengono in prima istanza redatte dal guardiano del villaggio, che tira fuori ciò che diavolo gli pare e piace”. E Stamp non era un luddista né un moderno eremita, ma il direttore della Banca d’Inghilterra e presidente della Royal Statistical Society. Le valutazioni sono perciò importanti, ma una politica onesta sa che c’è un’elevata incertezza e una forte soggettività.

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Alcuni dati spiegano che cosa sia accaduto all’Università in Italia negli ultimi 10 anni (ma il finanziamento pubblico non doveva esaurirsi nel 2014?).

Fondi. Il Fondo di Finanziamento Ordinario (Ffo) è la voce di gran lunga più importante. Sotto il regno Moratti (anno 2005) erano 6,9 miliardi di euro. Nel regno di Mussi (2006-2008) salirono fino a 7,4. Con la Gelmini (2009-2011) sono riscesi a 6,9 e con i brevi regni Profumo & Carrozza (2012-2014) la discesa è arrivata a 6,6. Nel regno Giannini siamo a 6,4 miliardi. Nel frattempo, tutti gli altri paesi europei hanno aumentato costantemente il loro impegno, in alcuni casi in modo assai rilevante. E il Ffo è fonte quasi esclusiva del finanziamento pubblico, poiché lo Stato finanzia tutta la ricerca universitaria di base meno di quanto finanzi il solo e privato Iit di Genova (il cui finanziamento pubblico non doveva esaurirsi nel 2014?).

Spesa in rapporto al Pil. Nella classifica Ocse del 2015, l’Italia è penultima, con meno dell’uno per cento, seguita dal Lussemburgo, che manda giocoforza all’estero i suoi rampolli, non particolarmente numerosi. Sempre penultima anche secondo Eurostat, seguita dalla sola Bulgaria. Laureati. L’Italia è ultima in Europa per la percentuale di laureati nella fascia di popolazione tra i 30 e i 34 anni. Quest’anno sarà superata anche dalla Turchia, che non avrà una stampa ‘libera’ come la nostra, ma si sta attrezzando per averla, giacché promuove la cultura con un buon tasso di crescita, mentre noi decresciamo.

Produttività dei ricercatori. Negli ultimi dieci anni, l’Italia è prima per numero di citazioni scientifiche per ricercatore. Supera perfino il Regno Unito e gli Stai Uniti.

Valutazione della ricerca. Il sistema di valutazione della ricerca messo in piedi nel nostro paese nel periodo 2011-2014 è costato più del doppio del finanziamento della ricerca stessa.

Quanto disse Pietro Calamandrei, intervenendo all’Assemblea Costituente del 4 marzo 1947, vale tutt’oggi: “Quando io penso che in Italia oggi, e chi sa per quanti anni ancora, le Università sono sull’orlo della chiusura per mancanza dei mezzi necessari per pagare gli insegnanti, quando io penso tutto questo e penso insieme che fra due o tre mesi entrerà in vigore questa Costituzione […], che la Repubblica garantisce salute ed istruzione gratuita a tutti, e questo non è vero, e noi sappiamo che questo non potrà essere vero per molte decine di anni — allora io penso che scrivere articoli con questa forma grammaticale possa costituire, senza che noi lo vogliamo, senza che noi ce ne accorgiamo, una forma di sabotaggio della nostra Costituzione!”. Invero, l’art. 9 della Costituzione è chiarissimo: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, ma il ‘come’?

Insomma, i dati non dipingono un quadro in stile Alessandro Magnasco di atenei infestati da baroni fannulloni dove bivaccano manipoli di studenti bamboccioni – quei giovani universitari che, secondo la lezione di un valente idrologo come Giulio Andreotti: “Sono come un fiume in perenne piena. Son sempre fuori corso”. Ha ragione Sir Stamp a mettere in guardia dalle manipolazioni, che dalle nostre parti non sono però opera dei professori e neppure dagli studenti. E qualcuno potrebbe chiedersi: “Se scuola e università e salute ricevono la minima quota di Pil dell’Unione Europea, dove spendiamo la massima quota del nostro povero Pil, visto che la spesa pubblica non ha fatto che aumentare negli ultimi 10 anni?”.

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