Il cessate il fuoco durava dal 1994, da quando Armenia e Azerbaigian avevano siglato la fragile tregua dopo sei anni di conflitto costati la vita a 30mila persone, tra cui molti civili. E’ dal 1988 che i due Paesi si contendono la sovranità del Nagorno-Karabakh, enclave armena cristiana ufficialmente parte dell’Azerbaigian musulmano ma controllata da Ierevan. Qui, dopo oltre vent’anni, sono ricominciati gli scontri: 300 i soldati azeri uccisi, mille i feriti. Almeno secondo fonti di sicurezza dell’autoproclamata repubblica. I numeri, però, sono in costante evoluzione. E, soprattutto, non c’è alcuna fonte indipendente che sia in grado di confermarli o meno.

“Nelle ultime ore, come risultato delle azioni di risposta dell’esercito azero, sono stati uccisi fino 170 soldati e distrutti dodici blindati del nemico”, ha fatto sapere il ministero della Difesa dell’Azerbaigian. Secondo fonti ufficiali, le truppe armene sono state prese dal panico e hanno abbandonato armi e munizioni dopo essere stati sopraffatti dalle unità azere. Nel frattempo, l’esercito di Baku ha subito pesanti perdite nel tentativo di rompere le linee di Nagorno Karabakh, i cui miliziani hanno distrutto cinque carri armati uccidendo 25 soldati.

Erdogan: “Il territorio tornerà al legittimo proprietario, l’Azerbaigian” – Gli scontri si sono intensificati dal primo aprile, cioè dalla morte di Vladimir Melkonian, 20 anni, soldato dell’autoproclamata repubblica. Poi sono seguiti attacchi e scambi di accuse. Gli armeni dichiarano di avere abbattuto un elicottero dei nemici, Erevan punta il dito contro Baku per avere lanciato un’offensiva generale con l’impiego di artiglieria, carri armati e aviazione. Poi la dichiarazione di tregua unilaterale da parte dell’Azerbaigian, a cui l’Armenia non crede. Una situazione in cui la Turchia si schiera con Baku. Erdogan è convinto che che il territorio conteso “un giorno tornerà certamente al suo padrone legittimo, l’Azerbaigian“. Ma Erevan avverte Istanbul di non immischiarsi. La Georgia conta che un cessate il fuoco possa essere raggiunto a breve, ma la tensione nell’area ha richiesto anche l’intervento diplomatico del Paese che ha spesso ricoperto il ruolo di mediatore e arbitro: la Russia, che vende armi sia all’Armenia sia all’Azerbaigian. Il leader del Cremlino, Vladimir Putin, ha chiesto “alle parti belligeranti di fermare immediatamente le ostilità”.

Lo stesso auspicio arriva anche dalla Farnesina, che fa appello alle parti affinché siano ripresi gli sforzi negoziali per una soluzione pacifica del conflitto, sotto gli auspici del Gruppo di Minsk (creato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – Osce – per monitorare il cessate il fuoco, guidato da Francia, Russia e Stati Uniti) e dei suoi tre Co-Presidenti, che si incontreranno la settimana prossima a Vienna. Per quanto alcuni analisti ritengano che la ripresa delle ostilità nella Linea di Contatto, Aldo Ferrari, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano, ritiene comunque improbabile che si arrivi “a una guerra vera e propria”. “Mosca ha truppe in Armenia – ha spiegato l’esperto di Russia, Caucaso e Asia centrale in un’intervista telefonica all’Ansa – e non credo che l’Azerbaigian possa o voglia scatenare una guerra contro un paese alleato formalmente della Russia: avrebbe solo da perdere in un conflitto di questo genere”.

La storia del Nagorno Karabakh – E’ una regione dalla storia complessa e divisa tra diverse culture, religioni ed etnie: Nagorno significa “montuoso” in russo, Kara significa “nero” in turco, e Bakh significa “giardino” in parsi. Il territorio è un’enclave armena cristiana ufficialmente parte dell’Azerbaigian musulmano e si estende su una superficie di circa 4.400 chilometri quadrati in una zona montagnosa nel Caucaso sud-orientale. La capitale è Stepanakert.

Le attuali tensioni risalgono in gran parte al 1923 quando, nonostante il parere contrario della maggioranza della direzione del partito comunista al potere in Urss, Stalin volle che il Nagorno Karabakh fosse incorporato nella Repubblica dell’Azerbaigian, creata l’anno prima. Ma la popolazione del Karabakh non ha mai sopito il desiderio di riunirsi alla ‘madrepatria’, l’Armenia, anche perché ritiene che l’enclave sia storicamente la culla della cultura armena. Il sogno della riunificazione con Erevan si è tradotto in anni più recenti in lotta armata.

Nel 1988, la provincia decise per la secessione dall’Azerbaigian e l’annessione all’Armenia, scatenando un conflitto tra i due Paesi che tra il 1988 e il 1994 ha provocato tra i 25 ed i 35mila morti e centinaia di migliaia di profughi. L’Azerbaigian insiste sul rispetto della propria integrità territoriale, mentre l’Armenia – che sostiene il territorio a livello militare ed economico da quando la guerra separatista è finita nel 1994 – invoca il diritto di autodeterminazione dei popoli. Di fatto, il Nagorno-Karabakh si trova in Azerbaigian ma è controllato da armeni,
L’enclave ha una popolazione, secondo i dati ufficiali del governo locale, risalenti al 2007, di 138.000 abitanti costituita per il 95% da armeni, mentre quasi tutti gli azeri hanno lasciato la autoproclamata Repubblica. Dalla fine della guerra sono in corso negoziati promossi dal Gruppo di Minsk.

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