Trecento milioni di tonnellate di merci movimentate ogni anno, uno dei tre arsenali di cui la Marina Militare dispone in tutto il Paese, il titolo di principale porto petrolifero italiano e un filo che lo lega addirittura a Mafia capitale. È il porto di Augusta, fortificato già ai tempi di Federico II di Svevia e adesso tornato prepotentemente al centro della cronaca nazionale. È qui, infatti, che l’inchiesta sul petrolio della Basilicata rischia di travolgere l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della Marina Militare, finito nel registro degli indagati della procura di Potenza per una vicenda nata proprio sullo sfondo dell’Autorità portuale di Augusta.

Tra i pochi particolari dell’indagine trapelati, c’è quello riferito da Repubblica secondo cui Gianluca Gemelli, il compagno dell’ormai ex ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, sarebbe entrato in contatto con De Giorgi e il capo ufficio bilancio della Difesa, nonché consulente del Mise, Valter Pastena. Il suo obiettivo era quello di ottenere una concessione per un pontile militare all’interno del Porto di Augusta. In cambio avrebbe offerto il suo portafoglio di relazioni, a partire dal legame con la Guidi, nel cui dicastero sarebbe transitata buona parte dei fondi per la realizzazione delle nuove navi della Marina.

La scelta della città non è casuale. Gemelli è infatti originario proprio di Augusta, dove la sua società, la Its (acronimo di Industrial Tecnical Service), costruisce e cura la manutenzione di impianti petrolchimici ed energetici. Solo una delle tante aziende del settore, dato che quello in provincia di Siracusa è da anni il principale scalo petrolifero del Paese, da quando – era nel 1949 – Angelo Moratti costruì la prima raffineria di greggio. Poi arrivarono anche gli altri big della caccia all’oro nero: Erg, Agip, Esso, Lukoil, Eni. Dal petrolio alla chimica, fino all’energia: una colonizzazione massiccia ha cambiato completamente il volto della città che, con Priolo e Melilli, si è guadagnata l’infausto appellativo di triangolo della morte. 

Il titolo di primo porto petrolifero d’Italia, infatti, include anche un immancabile rovescio della medaglia: e cioè un numero enorme di decessi a causa di tumori. Lo sa bene don Palmiro Prisutto, parroco cittadino, che – in mancanza di un registro tumori accessibile – ha cominciato ad elencare ogni mese nomi e cognomi dei defunti durante la messa. Un’iniziativa che ha attirato l’interesse nazionale sulla città siciliana, dove nel 2008 erano stati stanziati 106 milioni di euro da destinare ad interventi di bonifica: peccato che fino allo scorso anno i milioni spesi per le bonifiche risultassero appena due. E mentre crescevano gli stabilimenti petrolchimici, al porto di Augusta sono aumentati negli anni anche gli arrivi di navi commerciali: nel 2015 le merci movimentate hanno superato quota 300 milioni di tonnellate. Numeri che ne fanno il settimo porto d’Italia per traffico merci, mentre il vicino scalo di Catania (che ha dieci volte gli abitanti di Augusta) si ferma ad “appena” 27 milioni di tonnellate.

È per questo motivo che dopo l’accorpamento degli scali di Augusta e Catania, come previsto dal nuovo piano nazionale della portualità approvato dal consiglio dei ministri l’estate scorsa, sarà la città in provincia di Siracusa a mantenere il privilegio di sede dell’Autorità portuale. Al vertice della quale si è installato Alberto Cozzo, avvocato con master a Malta, nominato commissario nel novembre 2014 dall’ex ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi e indicato come uomo vicino al sottosegretario Giuseppe Castiglione e alla galassia del Nuovo Centrodestra siciliano. È un ruolo importante quello ricoperto da Cozzo, visto che sempre il piano nazionale della portualità prevede per lo scalo di Augusta 348 milioni di euro di investimenti nel triennio 2015-2017: un vero e proprio tesoretto che testimonia l’importanza strategica ed economica dello scalo siciliano.

D’altra parte Augusta è dal 2002 sede del Comando militare marittimo della Sicilia, mentre già dagli anni Ottanta ospita uno dei tre arsenali della Marina militare italiana (gli altri sono a La Spezia e Taranto). Gli stessi arsenali che l’ammiraglio De Giorgi ha praticamente rinnovato dopo aver ottenuto il finanziamento da 5 miliardi e mezzo di euro per acquistare nuovi pattugliatori.

Il capo di Stato maggiore, in ogni caso, non è il primo marinaio a finire sotto indagine a causa di vicende connesse al porto di Augusta. Nel dicembre del 2014, infatti, Mario Leto e Sebastiano Distefano, rispettivamente capo deposito marittimo di Augusta e primo maresciallo, sono finiti in manette perché accusati di una maxi frode: avevano attestato la fornitura di 11 milioni di litri di gasolio alla nave cisterna Victory I. Solo che quell’imbarcazione ad Augusta non era mai attraccata, dato che era naufragata un anno prima nell’Oceano Atlantico. Il carburante, del valore di 7 milioni di euro, era invece rimasto nelle casse della società danese Ow Supply, che lo aveva fornito solo sulla carta, grazie anche alla collaborazione di Massimo il romanista, alias Massimo Perazza (arrestato l’estate scorsa a Santo Domingo) localizzato più volte al distributore di corso Francia a Roma, base operativa di Massimo Carminati, il capo dei capi di Mafia capitale.

In data 8 gennaio 2019 la Corte dei conti ha definitivamente assolto l’ex capo di stato maggiore della Marina Militare, Giuseppe De Giorgi.

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