Ventimiglia, dopo che il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittimo lo scioglimento del comune per mafia, è partita la gara per riabilitare il “buon nome” della località rivierasca al confine con la Francia e negare la presenza della ‘ndrangheta in zona. Galeotto fu un gruppo di consiglieri d’opposizione che nei giorni scorsi ha presentato una mozione in cui si chiedeva di “valutare tutte le eventuali possibili azioni volte ad ottenere il risarcimento dei danni subiti”. Premessa di tale richiesta sono le “notevoli ripercussioni sull’immagine del territorio”, la “gogna mediatica” cui è stata sottoposta la città e gli “ingenti danni all’economia locale”. Nel documento, votato ma non approvato grazie anche all’opposizione del sindaco e della giunta eletta dopo il commissariamento, si chiedeva anche di porre fine “all’obbligo di continuare ad applicare le stringenti norme che colpiscono le amministrazioni che sono state commissariate”. Quali siano queste “stringenti norme” risulta difficile da capire dal momento che la legge (decreto legislativo 159 del 2011) prevede l’obbligo per i 5 anni seguenti lo scioglimento, di acquisire informazioni antimafia per ogni contratto, concessione o erogazione, indipendentemente dal loro valore economico. Norme che dovrebbero essere di buona amministrazione ma che qualcuno percepisce come lacci e lacciuoli.

Il pronunciamento del Consiglio di Stato ha dato il via non solo a un’ondata di negazionismo, ma in alcuni casi a una vera e propria resa dei conti. Come nei confronti di Ileana Caramello, funzionaria del comune che ha visto le sue dichiarazioni rese ai commissari prefettizi pubblicate in un volantino anonimo e diffuse per i corridoi del municipio sotto la dicitura “Bella collega che abbiamo …” Solo il tempo di cercare di far passare la cosa per uno scherzo di cattivo gusto, che il 9 marzo ne è comparso un altro: al centro degli attacchi ancora la funzionaria e le sue retribuzioni, non senza allusioni a Christian Abbondanza della Casa della Legalità di Genova e al blogger Marco Ballestra, che quel giorno organizzavano un appuntamento pubblico per fare chiarezza sulla presenza della ‘ndrangheta nel Ponente ligure.

Perché se è vero che il secondo grado di giudizio del processo “La Svolta” ha confermato l’assoluzione per l’ex sindaco Gaetano Scullino e il suo city manager Marco Prestileo, oltre ad assolvere 8 persone precedentemente condannate in primo grado (e fra questi Antonio Palamara, indicato dagli investigatori uno dei boss storici), è anche vero che ha confermato tutte le altre condanne (comprese quelle per associazione mafiosa).

Nelle motivazioni della sentenza di primo grado (quelle dell’appello non sono ancora disponibili) si legge: “Emerge nettamente la presenza nell’estremo Ponente Ligure di un’articolazione territoriale della ‘ndrangheta, un sodalizio composto da soggetti di origine calabrese ma da tempo stabilmente radicati nel territorio ligure, legati da vincoli familiari e rapporti di vicinanza, nonché interessi economici comuni alle cosche calabresi di riferimento, riproducente sul territorio ligure il modello organizzativo tipico della ‘ndrangheta.”

Inoltre, scrivono i giudici, “emergono contatti e riferimenti a numerosi esponenti politici, a livello comunale, regionale e provinciale, ai quali il sodalizio assicura in molti casi il sostegno elettorale, giungendo persino a influire sulla presentazione delle candidature e sulla composizione delle liste elettorali, evidentemente nella prospettiva di futuri vantaggi se non addirittura in cambio di favori immediati.” Mentre la relazione della Direzione nazionale antimafia sottolinea “l’importanza della sentenza emessa nel procedimento “La svolta”, con il quale sono stati condannati 27, tra capi ed affiliati, di un sodalizio operante nei comuni di Ventimiglia, Bordighera e Diano Marina, in grado di condizionare l’operato di amministratori locali e di incidere sulle attività imprenditoriali, segnatamente svolte da quelle piccole e medie imprese che costituiscono il tessuto economico prevalente dell’intera area del ponente ligure”.

Al centro del dibattito, dunque, la decisione del Consiglio di Stato, accolta da pareri contrastanti. Scrivono i giudici amministrativi che “ai fini della legittima adozione del provvedimento in esame (lo scioglimento del Comune, appunto, ndr) non è necessaria la dimostrazione di responsabilità penali degli amministratori locali”. Poi però entrano nel merito di quanto emerso dal processo. Secondo i giudici amministrativi “Scullino (l’ex sindaco di Ventimgilia, ndr) ignorava che la Marvon (la cooperativa che si era aggiudicata un grossa fetta di appalti, ndr) fosse posseduta e gestita da soggetti appartenenti all’associazione di stampo ‘ndranghetistico insediata a Ventimiglia”. Nella decisione pare perdersi ogni traccia del rapporto stilato dai commissari prefettizi, alla base del provvedimento di scioglimento. Dove tra l’altro si leggeva che fu “il dottor Prestileo, direttore generale del Comune di Ventimiglia e presidente del consiglio di amministrazione della Civitas, a predisporre lo statuto della Marvon”. Ossia, colui che concorreva all’assegnazione degli appalti era l’estensore dello statuto della cooperativa che se li aggiudicava.

Altro caso è quello dell’appalto assegnato alla Coffee Time Sanremo di Giovanni Ingrasciotta. Nel 2011, l’imprenditore considerato dagli inquirenti vicino a Matteo Messina Denaro saliva agli onori delle cronache per un tentativo di intimidazione fatta proprio esibendo una foto del boss di Castevetrano.
Il 15 marzo 2011 la sua società si aggiudicò un appalto per “l’istallazione e la gestione di distributori automatici di bevande calde e fredde”, indetto dal comune di Ventimiglia. A questo proposito il Consiglio di Stato scrive che l’affidamento fu “per un importo del tutto trascurabile” e “risulta tempestivamente revocato non appena la società è risultata colpita da un’interdittiva antimafia”.

La relazione prefettizia contiene invece alcuni dati storici, come le due interdittive precedenti a quella menzionata dai giudici amministrativi: “Va rilevato – scrivono i commissari – che nei confronti della società Coffee Time, il 9 settembre 2010, la Prefettura di Imperia aveva emesso una interdittiva antimafia “tipica”, ….la Coffee Time procedeva a un rimpasto della compagine societaria, incappando, tuttavia, in un secondo provvedimento interdittivo, emesso il 22 dicembre 2010, sempre dalla Prefettura di Imperia. Appare improbabile – concludono i commissari- se non impossibile, che gli amministratori non fossero a conoscenza delle frequentazioni e delle vicende penali e giudiziarie dell’Ingrasciotta, poiché largamente trattate dalla stampa locale”.

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