Fino al 18 agosto scorso non esistevano nemmeno per lo Stato. Ora una legge che riconosce l’autismo c’è ma non basta. Nei sei articoli approvati dal Parlamento non è citata una sola volta la parola scuola. Nell’ultimo comma si precisa: “Dall’attuazione della presente Legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate alla relativa attuazione vi provvedono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”.  Mancano i soldi, gli investimenti nella formazione degli insegnanti, il sostegno alle famiglie, i centri nel Sud Italia, le possibilità di lavoro: l’80% degli adulti autistici non ha un’occupazione. Non ci sono nemmeno dei dati precisi in merito alle diagnosi. Dalle ultime stime dagli Stati Uniti un bambino su 88 soffre di sindrome dello spettro autistico.

“In Italia non abbiamo numeri ufficiali – spiega Serafino Corti, ricercatore e membro del Comitato scientifico della Fondazione italiana per l’autismo -. Quelli che possiamo registrare derivano dai dati raccolti da alcune Regioni. Si parla del 3-4 per mille. In Piemonte siamo attorno al 4,6 per mille; in Emilia al 3,4 per mille. Numeri più bassi rispetto a quelli che vengono definiti dagli Stati Uniti ma è evidente che nel momento in cui la capacità diagnostica cresce queste stime diventano più affidabili. L’elemento comune tra gli Usa e l’Italia è che siamo concordi nel dire che negli ultimi 35 anni il numero è aumentato ovunque: da quattro persone ogni dieci mila siamo passati a uno su cento. Di fatto abbiamo un’impennata dovuta da una maggiore capacità diagnostica ma concorrono anche delle componenti di tipo genetico ed epigenetico. Anche in Italia ci si sta muovendo per costruire un registro nazionale”.

Corti non mette la maglia nera all’Italia su questo tema: “Il nostro Paese ha delle professionalità. Non occorre più andare fuori per trovarle. Tra i ‘nostri’ abbiamo Marco Bertelli, uno psichiatra che è stato responsabile per due anni del gruppo speciale per l’autismo e la disabilità intellettiva dell’Organizzazione mondiale della psichiatria. Si tratta di fare sistema, in termini programmatori”.

I problemi, comunque, non mancano a partire dalle strutture e dalla scuola: “Siamo in un paradosso – prosegue Corti -. Noi oggi sappiamo quali sono i trattamenti più efficaci, il problema è che bisogna conoscerli. Serve – spiega Corti – una formazione diffusa a docenti e specialisti. All’interno delle aule, comincia ad essere intrapresa una via: non dobbiamo formare 500 persone l’anno ma decine di migliaia di professori. Per far fronte a questo servono risorse economiche. Purtroppo in Italia, si registra un dato drammatico: al Nord abbiamo tante criticità ma molti servizi; al Sud quest’ultimi calano in età evolutiva. I centri pubblici per il trattamento sono pochi. Abbiamo un modello inclusivo solido nell’età evolutiva che dopo i 18 anni va in crisi: l’inclusione lavorativa deve diventare una priorità altrimenti i servizi non basteranno mai”.

Lo sanno bene i genitori di questi ragazzi che fanno i conti tutti i giorni con la fatica ma anche col portafogli. “Al momento della diagnosi – spiega Liana Baroni presidente dell’associazione nazionale genitori soggetti autistici e madre di un autistico di 39 anni – se un bambino vuole fare la terapia che consiglia il ministero della Salute tramite le linee guida deve spendere dai 2 ai 2.500 euro al mese. I centri pubblici che danno questo trattamento sono cinque o sei. Chi vuole seguire questo percorso deve pagare di tasca propria. Ci sono famiglie che sono state costrette a vendere la casa, a farsi aiutare dai famigliari per poter avere i soldi necessari. Speriamo che con la legge ci sia una svolta”.

Mamme e papà dei figli autistici devono affrontare anche il problema del lavoro. “All’estero il 40% di queste persone lavora. In trent’anni che ho a che fare con le famiglie di autistici in Italia ho visto un solo ragazzo assunto con un contratto a tempo indeterminato. Con un educatore al lavoro è stato inserito in una mensa dove prepara i pasti con una velocità tale che ha convinto l’azienda ad assumerlo a tempo indeterminato. Certo è difficile ma non impossibile. In Umbria ci sono fattorie sociali con ragazzi che soffrono di autismo che producono”.

A conoscere bene il problema è il giornalista Gianluca Nicoletti, padre di Tommaso. Sulla sua vicenda ha scritto ben due libri e ora sta girando un film. “La legge – ha spiegato giovedì sera dai microfoni di Radio Popolare – non ha cambiato nulla. Le istituzioni sono volubili. Le famiglie devono uscire dal pudore di dire al mondo che hanno un problema di questo tipo. Il 2 aprile porterò mio figlio insieme ad altri ragazzi alla Luiss che ha messo a disposizione il suo giardino per fare un corso di orticultura”.

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