In ambito musicale, una delle tendenze più interessanti degli ultimi anni, è forse quella che riguarda la realizzazione di strumenti musicali artigianali o auto-costruiti. Meccanici, acustici, elettrificati, elettronici o ibridi che siano, queste nuove creazioni possono essere realizzate impiegando materiali molto pregiati, o, all’opposto, addirittura riciclati. Il panorama è piuttosto ampio, si va da strumenti fatti di tubi industriali e ruote di bicicletta, fino a pregiate opere in legno e metallo; da avveniristici device elettronici di design, a strumenti virtuali (programmi o app) per computer e tablet.

Ne segnalo alcuni (realizzati negli ultimi anni), che mi pare abbiamo decisamente catturato l’attenzione degli utenti del web: Yaybahar, Fluid Piano, Tine Organ, Piezoelectric Violin, Monster Tubulum, Water Drops, Array Mbira, Ocean Harp, Wheelharp, The Seaboard, Alpha Sphere, Geps, Reaktable, Continuum Fingerboard, Musyc Pro, SpaceWiz, MorphWiz.

Strumenti Musicali Autocostruiti

Nel bellissimo libro di Steven Mithen, Il canto degli antenati, si evidenzia come la tendenza a realizzare strumenti musicali non sia certo una novità, risalendo addirittura, alle origini stesse dell’uomo. Ricavato da un osso di avvoltoio preistorico e conservato presso l’Università di Tubingen in Germania, Flute1 è ad esempio uno degli strumenti musicali più antichi con i suoi oltre trentacinquemila anni di età.

La storia degli strumenti musicali, è ovviamente un argomento vastissimo e complesso; lungi da me volerlo affrontare nelle poche righe consentite da un blog. Tuttavia, esiste una costante in particolare che mi pare appropriato ricordare. Nel corso dei secoli, sono numerose le civiltà che hanno prodotto strumenti musicali di vario tipo e, con una certa approssimazione, è giusto ricordare che la realizzazione e il perfezionamento di questi artefatti, è quasi sempre stato il frutto di necessità espressive altrimenti mute. Il vecchio motto, la necessità aguzza l’ingegno, torna in questo caso particolarmente utile per chiarire il concetto.

Rispetto al passato però, ci troviamo di fronte a una radicale differenza di approccio nella creazione di strumenti musicali. Che nelle società tecnocratiche la distinzione tra mezzi e fini sia divenuta alquanto labile, non è certo un mistero. Inoltre, la cultura occidentale ha introiettato strutturalmente mitologie come quella della crescita, dello sviluppo, della ricerca del nuovo come valori assoluti, a un livello difficile da percepire se, per dirla con Lévi-Strauss, non si ricorre ad uno “sguardo da lontano”. Molti di questi progetti, per quanto estremamente validi, sembrano più il frutto di questo atteggiamento mentale, che il risultato di necessità espressive profonde; una sorta di rincorsa al nuovo, alla scoperta social, al famolo strano di verdoniana memoria. Il mio non vuol essere un modo di ricorrere al famoso “oh tempora o mores!”. Perché oggi in fondo, dovrebbe essere diverso da ieri? Su questo, molti grandi filosofi del Novecento si sono espressi con chiarezza (e chiaroveggenza) definendo la nostra epoca come l’età della tecnica, un periodo che ha priorità, mitologie (valori?), radicalmente diversi da quelle precedenti. Anche qui chiaramente, l’argomento è troppo vasto e complesso, ma il testo di Umberto Galimberti, Psiche e techne – L’uomo nell’età della tecnica, costituisce una lettura preziosa per accostarsi all’argomento.

Ma, come accennavo, non è sempre stato così. Intorno al 1500 ad esempio, con il progressivo declino dell’egemonia assoluta della polifonia vocale, vi fu un vero e proprio periodo d’oro per la costruzione ed il perfezionamento degli strumenti musicali (gli esperti perdoneranno la semplificazione); una sorta di Cambriano dell’artigianato musicale… Strumenti che, nel tempo, non a caso hanno continuato ad evolversi sempre a partire delle esigenze estetico-espressive che man mano andavano manifestandosi nella società e tra i compositori. Sarà la necessità di suonare in diverse tonalità, di modulare, di eseguire rapidi passaggi cromatici, a far evolvere ancora molti degli attuali strumenti musicali più noti (il caso del flauto traverso è davvero emblematico). E ancora, non è un caso che il romanticismo elesse il violoncello a strumento tra i più adatti ad esprimere la propria anima: una grande estensione, un timbro caldo che richiama la voce umana. Buona parte della musica del secondo Novecento, sempre non a caso, ha invece prediletto il flauto traverso, la sua grande agilità e il suo timbro metallico, quasi sinusoidale. Come dire, cambiando nel tempo le priorità estetiche, cambiano anche gli strumenti più adatti ad esprimerle.

L’organizzazione stessa della moderna orchestra sinfonica, è il frutto delle crescenti e mutate necessità espressive dei vari compositori, non certo il capriccio di un burocrate o dei liutai… La sinfonia, il bel libro di Kurt Pahlen (di cui la Ei Editori sta preparando una riedizione), mette in luce questo aspetto con grande chiarezza.

Sebbene, come sempre, rimanga difficile stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina, nel caso di molti strumenti musicali, fu quasi sempre la necessità, a costringere liutai e musicisti ad inventare soluzioni ed accorgimenti tecnici di grandissima sofisticatezza. Per carità, in alcuni casi potrà anche essere successo il contrario, o le cose potrebbero essere andate di pari passo…

Concludendo, mi auguro fortemente che queste nuove creazioni possano essere di grande ispirazione per compositori e musicisti di ogni sorta. In tal senso, alcune periferiche midi di ultima generazione, stanno già avendo il merito di rendere certe performance di musica elettronica meno statiche che in passato (un uomo dietro un computer non è proprio il massimo), arricchendone decisamente la componente scenica.

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