All’inizio del 2016 risultavano in essere 18,1 milioni di pensioni per una spesa complessiva di 192,6 miliardi di euro 173 dei quali sostenuti dalle gestioni previdenziali e con “una forte concentrazione nelle classi basse” di importo. Lo rileva l’Inps nelle statistiche in breve dell’Osservatorio delle pensioni che non considera però i trattamenti pubblici ed ex Enpals, spiegando che il 63,4% degli assegni (11,5 milioni) è inferiore a 750 euro. Per le donne gli assegni inferiori a 750 euro sono oltre i tre quarti del totale (il 77,1%), mentre per gli uomini la percentuale scende sensibilmente fino al 45 per cento. E’ solo una misura indicativa della povertà dato che molti pensionati hanno più di una prestazione e/o altri redditi.

Su 18.136.850 trattamenti esistenti a inizio 2016 14.299.048 erano di natura previdenziale, “cioè prestazioni che hanno avuto origine dal pagamento di contributi (vecchiaia, invalidità a e superstiti) durante l’attività lavorativa del pensionato. Il resto è costituito dalle prestazioni erogate dalla gestione degli invalidi civili (comprensive delle indennità di accompagno) e da quella delle pensioni e assegni sociali, “sono di natura assistenziale, cioè prestazioni erogate per sostenere una situazione di invalidità congiunta o meno a situazione di reddito basso”, spiega l’Inps. In particolare le pensioni agli invalidi civili a inizio 2016 erano 2.980.799, erogate per il 44% nel Sud. Al Nord va invece il 34,7% delle prestazioni (37,2 ogni 1.000 residenti), al Centro il 20,6% delle prestazioni (50,8 ogni 1.000 residenti) e al Sud il 44,8% (64,1 ogni 1.000 residenti). Se si guarda nel complesso alle pensioni assistenziali (compresi quindi gli assegni sociali) a fronte di 63 prestazioni ogni 1.000 residenti in Italia, in Trentino sono 26 ogni 1.000, in Emilia Romagna 45 ogni 1.000 e in Calabria 97 ogni 1.000 residenti.

Il 51,4% delle pensioni è in carico alle gestioni dei dipendenti privati. Fra queste il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, che è quella di maggior rilievo, gestisce il 49,2% delle pensioni e il 61,8% degli importi in pagamento. Le gestioni dei lavoratori autonomi erogano il 27,2% delle pensioni, cui corrisponde un importo complessivo del 23,6%, mentre le gestioni assistenziali gestiscono il 21,2%, per un importo in pagamento del 10,2% del totale. La distribuzione territoriale mostra che l’Italia settentrionale usufruisce del maggior numero di prestazioni pensionistiche. Il 48,1% delle pensioni viene infatti percepito da residenti in questa zona e a loro è destinato il 54,9% delle somme stanziate a inizio anno. Il 19,2% delle prestazioni viene erogato nel Centro Italia, per un totale del 19,7% dello stanziamento, e il 30,5% nel sud e nelle Isole, cui è riservato il 24,7% della somma totale. Il restante 2,2% è rappresentato da pensioni erogate a residenti all’estero, cui è riservato lo 0,65% dello stanziamento. L‘età media dei pensionati è di 73,6 anni, con una differenza fra i due generi di 4,5 anni (71 anni gli uomini e 75,5 le donne). È da rilevare infine che l’età media alla decorrenza del pensionamento è in aumento, passando, per la pensione di vecchiaia dai 62,9 del 2010 ai 65,4 anni dei primi due mesi del 2016 e, per le pensioni di anzianità, da 59,1 anni a 60,6 nello stesso periodo

Nel 2015, invece, l’Inps ha liquidato 1.120.638 pensioni, delle quali oltre la metà (il 51%) di natura assistenziale. “Un numero così elevato rispetto alla consistenza delle pensioni in pagamento – spiega – è compensato da un ricambio molto più veloce rispetto alle prestazioni di tipo previdenziale”. Gli importi annualizzati stanziati per le pensioni liquidate nel 2015 ammontano a 10,4 miliardi di euro. Ai lavoratori del settore privato sono state liquidate 158.589 pensioni anticipate rispetto all’età di vecchiaia con un aumento dell’89% rispetto al 2014. Il dato è determinato dalla stretta sull’accesso alle pensioni anticipate che si è avuta con la legge Fornero sulla previdenza. Lo scorso anno  per accedere alla pensione anticipata erano necessari 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva per gli uomini e 41 e 6 mesi per le donne. Dal 2016 per uscire dal lavoro prima dell’età di vecchiaia sono necessari 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne).

Articolo Precedente

Crescita, Standard & Poor’s: “Pil Italia a +1,1% nel 2016”. Meglio di Fitch, ma molto meno del governo

next
Articolo Successivo

Nozze Wind-3Italia, Antitrust Ue apre indagine approfondita: “Timori su aumento prezzi o restringimento offerta”

next