Colpevole di dieci capi d’accusa per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e il genocidio di Srebrenica – dove vennero uccisi 8mila bosniaci musulmani – ma ritenuto innocente per un’altra accusa di genocidio. Radovan Karadzic, ex leader politico dei serbi di Bosnia, è stato condannato a 40 anni dal Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi), che lo ha ritenuto “penalmente responsabile” per omicidio, attacco ai civili e di aver terrorizzato Sarajevo nei 44 mesi di assedio della città durante la guerra tra il 1992 ed il 1995. Il giudice O-Gon Kwon ha affermato che la campagna di attacchi non sarebbe potuta accadere senza il suo appoggio.

Allo stesso tempo, però, è stato giudicato “non responsabile” del primo dei due capi d’accusa di genocidio a suo carico: il Tribunale non ha potuto stabilire che avesse “l’intento genocida di distruggere un gruppo” malgrado il fatto che siano stati compiuti crimini di massa nei sette comuni bosniaci, nel 1992, oggetto della sentenza.

Karadzic fu arrestato nel luglio 2008, dopo 12 anni di latitanza e il processo a suo carico è iniziato nell’ottobre del 2009. Il suo principale legale ha annunciato che farà ricorso.

Chi è KaradzicRadovan Karadzic è originario del Montenegro dove nacque il 19 giugno 1945, nel paesino di Petnjica sul monte Durmitor. A 15 anni si trasferì con la famiglia a Sarajevo, dove più tardi si laureò in medicina specializzandosi poi in psichiatria. E’ sposato con Ljiljana Zelen, psichiatra come lui, dalla quale ha avuto due figli Sasa e Sonja. All’inizio degli anni ’90, alla vigilia delle prime elezioni pluripartitiche, Karadzic, che aveva il vizio del gioco d’azzardo e un’indagine per truffa alle spalle, fa la sua apparizione dal nulla nella vita politica bosniaca.

Con grande sorpresa dei non pochi amici e colleghi musulmani e croati, che lo ricordano come persona gentile, viene nominato leader del neo costituito Partito democratico serbo (Sds) per decisione, afferma, del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, e si erge improvvisamente, lui montenegrino, a paladino del nazionalismo serbo più radicale e a sostenitore di Milosevic nel suo disegno di dar vita ad una ‘Grande Serbia’.

Il 12 maggio 1992 è eletto presidente dell’autoproclamata repubblica serba di Bosnia e nei due anni successivi si pavoneggia spesso con indosso la mimetica e diventa uno dei volti simbolo dei più cruenti capitoli della guerra, dall’eccidio di oltre 8mila musulmani di Srebrenica nell’estete del 1995, ai ripetuti cannoneggiamenti di Sarajevo, a campi di concentramento nella zona di Prijedor, e tanti altri casi di massacri, stupri, torture, saccheggi e pulizia etnica in tutta la Bosnia.

Prima della fine della guerra, il 25 luglio 1995, il Tpi lo incrimina assieme al suo braccio militare, Ratko Mladic, per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità per fatti commessi tra l’aprile del 1992 e il luglio del 1995. Ignora il mandato d’arresto e rimane con la famiglia nella sua casa di Pale, la sua capitale, nonostante la taglia di 5 milioni di dollari messa dagli Usa. Anche quando, dopo la firma dell’accordo di pace di Dayton, arrivano in Bosnia i 60mila soldati della Nato che nei primi anni hanno il compito di arrestarlo solo “se lo incontrano per caso”.
Il 27 giugno 1996, comincia all’Aja il processo in contumacia e il Tribunale emette un secondo mandato di cattura. Sotto le pressioni di Belgrado e dell’Occidente perché esca di scena, Karadzic abbandona ogni incarico e si dà alla latitanza. Al processo affermerà di avere ottenuto una promessa di immunità da parte degli Usa.

Prima dell’arresto, sfugge più volte alla cattura da parte della Nato. Il caso più clamoroso risale all’estate del 1997 quando sarebbe stato aiutato a fuggire da un ufficiale francese, il maggiore Hervè Gourmelon. Viene arrestato dopo 12 anni di latitanza, il 21 luglio 2008, a Belgrado, dove viveva da diversi anni muovendosi liberamente e impartendo lezioni di medicina alternativa in giro per il Paese presentandosi come “Dragan David Dabic, psichiatra di Belgrado“. Quella falsa identità e l’aspetto di santone lo rendeva difficilmente riconoscibile, nascosto sotto una folta barba e capelli bianchi e lunghi: un cambiamento d’immagine semplice ed efficace, studiata a tavolino con l’aiuto dei servizi serbi.

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