Dieci considerazioni non richieste, e certo parziali, sui fatti di Bruxelles.

Bruxelles-675

1. Le mattanze di Parigi furono accolte con lo stupore di chi credeva di poter essere amnistiato da questa guerra anomala. I fatti di Bruxelles hanno lasciato più che altro spazio a quello sgomento che confina con la rassegnazione. Quasi che ci stessimo abituando già a quel che potrebbe essere una costante di questi tempi sbandati: convivere con il terrore.

2. Dopo ogni atto così enorme, dal secondo successivo è tutto un parlare e ciarlare. Tutti di colpo esperti di Islam e jihad, Daesh e foreign fighters. Sbaglierò io, ma è anzitutto in questi casi che avverto il bisogno del silenzio.

3. Cosa possiamo fare? Intendo noi, intendo nel nostro quotidiano. Continuare a vivere come vivevamo prima. Anche se fa paura, anche se diventa eroico anche solo andare a teatro. Continuare a vivere come facevamo. Per non darla vinta agli assassini.

4. Avere paura è naturale. Tradurre questa paura in intolleranza è un altro regalo all’Isis, o meglio ancora all’Is, perché chiamarli come la versione greca e latina della dea egizia Iside mi rompe un po’ le palle (e anche in questo ha ragione Franco Cardini, di cui vi consiglio l’ottimo “L’Islam è una minaccia” FALSO!, edito da Laterza). Parlare di frontiere chiuse è delirante. I terroristi che colpiscono in Europa sono già in Europa e spesso figli di musulmani che qui li hanno concepiti. E questi figli – in tutto europei – uccidono anche per colpire i loro genitori, che reputano dei musulmani mollicci e opulenti: malati di troppo Occidente.

5. La guerra all’Isis si intreccia dunque con una guerra generazionale e con mille altri rivoli. Ciò rende l’Isis ancora più sfuggente: magari, per ucciderlo, bastasse bombardare i confini presunti del sedicente “Stato islamico”. L’Isis non è uno Stato e neanche una religione: è un kit nichilista a uso e consumo di chiunque ha bisogno di un pretesto per colpire a casaccio, così convinto di non avere più speranze da farsi esplodere come nulla fosse.

6. Tutti, ora, parlano di “Belgio colabrodo” e di “esigenza di una FBI europea”. Ovvero di una intelligence europea, che unisca realmente tutti i paesi coinvolti nella guerra. Obiettivo sacrosanto, più volte promesso (anzitutto) da Merkel e Hollande. I fatti, però, non hanno seguito mai le promesse. E’ poi vero che il Belgio è dilaniato da divisioni, leggi contorte e crisi devastante: era probabilmente l’obiettivo europeo più facile e solo lì Salah poteva “nascondersi” quattro mesi a casa sua. Rendiamoci però conto che la sicurezza totale è una chimera: se uno entra in un bar e si fa saltare in aria, non c’è intelligence che tenda. E sì che in Italia, per fortuna e nonostante Alfano, stiamo molto meglio che da altre parti.

7. Si dice spesso che questo giornale, e chi vi sta scrivendo, ce l’abbia a prescindere con Renzi. Una delle tante sciocchezze da asilo nido, che rendono il dibattito politico appassionante come una detartrasi di Velardi. Magari ne potessimo parlare “bene”, come fa il 95% della cosiddetta informazione italica. Ieri, però, Renzi ha detto cose sensate. Gli capita spesso, quando parla di Isis e guerra. Ha ragione quando sottolinea l’inutilità delle frontiere. Ha ragione quando ribadisce l’importanza di investire sulla cultura, anzitutto nelle periferie. E ha ragione quando dice che “non è il tempo né degli sciacalli né delle colombe”. Bravo. Ora però sta a lui, sempre ammesso che Usa e Merkel lo ritengano un alleato minimamente rilevante, farci capire come si passa dal non essere “colombe” all’entrare definitivamente in guerra.

8. Impeccabile la copertina di ieri di Crozza a DiMartedì. Tra le altre cose, ha ribadito un concetto semplice semplice: se bombardi dalla mattina alla sera un paese, quel paese prima o poi reagisce. Non solo: se ti affidi ai droni neanche fossero il monolite di Kubrick, l’unico risultato sicuro è ammazzare civili come mosche. E chi sopravvive, poi, preferisce di gran lunga l’Isis al civile Occidente che “esporta democrazia” sterminandoti la famiglia.

9. Non c’è giorno che passi in cui mi chieda: cosa abbiamo fatto di male, anzi di tremendo, per meritarci Luttwak? Perché dovrei prendere lezioni da questa caricatura guerrafondaia e becera? Chi lo ha eletto a esperto? Di grazia: meno Luttwak e più Gino Strada. E’ anche così che un paese diventa, o torna, civile.

10. Ieri, tra le mille cose elargite a getto continuo in radio, social e tivù, Matteo Salvini ha detto: “Meglio sciacallo che imbecille”. Devo dargli una brutta notizia: si può essere entrambe le cose, e non c’è bisogno di scomodare il primo Gasparri che passa per la conferma. Salvini si è fatto ritrarre a Bruxelles in posa pensosa, mentre parla a un cellulare immaginario (daje) e con una espressione tipo Chuck Norris dopo avere salvato l’umanità da una invasione di procioni di Cozumel. Quella postura da bullo, la stessa di chi si vanta per avere vinto alla PES 2016 con il nipotino di 4 anni, gli garantirà sfottò a vita. Bravo Matteo: sei una garanzia.

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