“Sono vivo e ho paura. Perché negarlo? La paura in fondo è un sentimento umano e non è facendo finta di essere degli eroi che si sta meglio. La prima reazione è stata: vado a lavoro, non mi possono fermare, ma evito i mezzi pubblici“. Davide vive e lavora a Bruxelles, dove questa mattina si sono verificate tre esplosioni all’aeroporto di Zaventem e in metropolitana. Decine i morti, oltre 130 i feriti. Sono in tanti i residenti nella capitale belga, tra cui molti connazionali, che sui social hanno raccontato cosa stesse succedendo. Che hanno cliccato sul Safety Check messo a disposizione di Facebook come dopo gli attentati di Parigi. Spiegano dove si trovavano questa mattina, dove stavano andando. Rispondono ai messaggi ricevuti da amici e parenti, ed esprimono rabbia, desolazione. Desiderio di sentirsi al sicuro, paura per quello che potrebbe ancora succedere.

Bruxelles, esplosioni nella metro di Maelbeek“Tutte le mattine prendo la metropolitana – scrive Davide su Facebook – Scendo a Maelbeek, una fermata dopo Schuman. Conosco ogni angolo di quella stazione, ogni singola mattonella, così come i tre mendicanti che chiedono l’elemosina. Penso anche a loro in questo momento. Se non ci fosse stata l’esplosione all’aeroporto probabilmente sarei stato lì alle 9:11. Se Wim non mi avesse avvertito probabilmente sarei lì”. Davide, dopo avere saputo dell’esplosione in aeroporto, racconta di essersi quindi avviato a piedi. “Sono arrivato a 100 metri dalla fermata di Schuman e lì le sirene si sono fatte più intense, i piedi dei passanti più veloci”. Quindi decide di tornare a casa e “sulla via del ritorno – prosegue – ho toccato con mano le lacrime negli occhi di gente terrorizzata, ho incrociato sguardi pieni di panico e invidiato i vecchietti che ignari di tutto facevano jogging al Cinquantenaire. Adesso sono a casa, apparentemente al sicuro, ma ho il cuore gonfio, gonfio. Voglio solo passare Pasqua in famiglia e abbracciare il mio nipotino Mattia”.

La sensazione di incertezza affiora in molti racconti. “Abito dietro al quartiere europeo – spiega Roberto a ilfattoquotidiano.it -. C’è silenzio. La gente guarda verso la stazione della metro a Maelbeek come se fosse a un funerale. Ho saputo delle esplosioni dagli sms di alcuni amici, quindi sono uscito per vedere coi miei occhi cosa stesse succedendo”. A colpire Roberto è la città, oggi un deserto. Si sentono solo le sirene e “la rete del telefono è down”.”L’asse stradale, Rue de la Loi, che è solitamente la strada con più traffico a Bruxelles, è vuota”. C’è molta preoccupazione “anche per i colleghi che lavorano all’Unione Europea, perché la stazione Maelbeek è quella dove scendono proprio i dipendenti delle istituzioni Ue“. Bruxelles, esplosioni nella metro di Maelbeek

Tra loro c’è anche Valentina. Erano le 8.35, stava per andare in ufficio. “Mi chiama mia madre, mi dice dell’esplosione all’aeroporto di Zaventem. E’ terrorizzata. Accendo la tv, mi siedo sul divano con la giacca addosso. Ero pronta per uscire, ma resto paralizzata dalle immagini“. Prevalgono l’impotenza e la consapevolezza che, alla fine, è successo quello che le autorità temevano. “Sono davanti alla tv, arriva la notizia dell’esplosione in metro a Maelbeek: è esattamente a a 10 metri dalla porta del palazzo della Commissione Europea, Dg Risorse Umane, in cui lavoro. E sento il sollievo, lugubre, di aver scampato la catastrofe”. Da lì partono le chiamate per assicurarsi che amici e colleghi stiano bene. Funziona solo Watsapp. “Mi scorrono davanti le immagini della strada che faccio tutti i giorni, quella all’uscita della metro. Quella dove ogni volta mi dico: ‘potrebbe succedere in qualunque momento, ma cosa fare? Impossibile fermarsi'”. Valentina andrà a prendere i suoi due bimbi a scuola “appena possibile, ma per ora dicono di non muoversi”. Spera anche di andare presto in ospedale per donare il sangue, “visto che adesso ne hanno bisogno”. “Questa città è nostra. E’ europea, fiamminga, è un luogo di integrazione e coabitazione culturale, di libertà individuale, di valori che diventano il bersaglio di chi insegue un disegno di morte. Di chi si nasconde dietro un dito che punta, meschino, dritto al cielo”.

Anche Maria Rosa non è stata del tutto colta di sorpresa dagli attacchi “perché da mesi si temeva un attentato a Bruxelles e sappiamo che l’aeroporto è uno degli obiettivi sensibili. Se poi non sono andata a prendere la metro, come faccio ogni giorno, sulla linea che passa dalla stazione di Maalbeek è perché alle 9 avevo appuntamento con una ragazza per mostrarle l’appartamento in cui vivo e che lascerò fra un paio di mesi. Dopo la visita – prosegue – ho ricevuto un altro messaggio con la notizia dell’esplosione nella stazione della metro, avvenuta poco prima, e sono rimasta a casa”. Per prima cosa si è assicurata che stessero bene le sue colleghe dell’European Internet Forum, “un’associazione no profit di cui sono direttrice da alcuni anni” e che ha sede “nel quartiere delle istituzioni europee, vicino a Maelbeek. Alcune persone che conosco e che lavorano nello stesso quartiere hanno evitato l’esplosione per pochi minuti”. I meeting di lavoro di Maria Rosa previsti per oggi al Parlamento europeo sono stati annullati.

Ennio, invece, è a Bruxelles da dieci anni. Lì vive con la sua famiglia. Ma gli attacchi di questa mattina, dice, mettono in dubbio la permanenza in Belgio. “Mia moglie e mia sorella erano uscite per portare le bimbe al nido, ma una volta arrivate alla scuola hanno saputo della seconda bomba e sono tornate indietro. Il loro ufficio è proprio vicino alla stazione di Maelbeek. Ora ci interroghiamo sul futuro prossimo”. E cioè? “Se continuare o meno a vivere a Bruxelles“. Si rimane barricati in casa. Chi può, scrive o contatta amici e famiglie per rassicurarli. “Non preoccupatevi se non riuscite e contattarmi. Ci sono problemi di rete. Sono scioccata”.

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