Ascoltare Verdi in “originale”, così come lo sentiva il pubblico che da metà Ottocento ebbe il privilegio di assistere alle recite del massimo compositore italiano. Da Parma, culla del Maestro conosciuto in tutto il mondo, si tenterà l’esperimento: riscoprire il suono verdiano così come fu creato dal suo autore e anche come Giuseppe Verdi in persona lo percepiva. Da maggio a novembre 2016 la Fondazione Teatro Regio di Parma e la Fondazione Arturo Toscanini proporranno il Laboratorio Suono Verdiano, rivolto a 24 strumentisti ad arco con l’obiettivo di ricreare il suono orchestrale delle prime esecuzioni del Cigno di Busseto.

Per chi non si intende di musica, l’operazione potrebbe sembrare incomprensibile, ma la spiegazione in realtà è molto semplice. All’epoca in cui il Maestro componeva, il “la” era accordato su una frequenza di 432 hertz (vibrazioni al secondo), più bassa rispetto allo standard introdotto nel Novecento e utilizzato anche oggi, che è intorno ai 440 hertz. Il risultato? Tutta un’altra musica. “Con gli anni l’intonazione del ‘la’ tende a 443/444 vibrazioni al secondo e così si ottiene un suono più brillante e teso, che va verso l’alto – spiega a ilfattoquotidiano.it Luigi Ferrari, sovrintendente della Fondazione Toscanini – Per Verdi invece lo standard opportuno per il ‘la’ sarebbe dovuto essere a 432 hertz, come usava al suo tempo e come lui stesso scrisse nel 1882. Con quell’intonazione si ottiene un suono molto diverso, perché tutto è meno teso, si abbassa un pochino e viene addolcito. Cambiano gli acuti, si evitano stonature e sforzi per i cantanti, e tutta la musica assume un colore diverso, più scuro e più morbido”.

Chi è abituato ad applaudire La Traviata o Il Trovatore a teatro, potrebbe rimanere stupito dall’effetto del loro suono originale. Perché oltre agli acuti e all’intonazione più bassa, anche gli strumenti sono cambiati rispetto al periodo verdiano. Le corde dei violini e violoncelli, per esempio: ai tempi del Maestro erano in budello, oggi sono di metallo. Per non parlare dei fiati, che in quegli anni avevano un peso fonico minore. “Per questo – aggiunge Ferrari – a volte qualcuno azzarda dire che Verdi aveva composto erroneamente, perché magari in alcuni passaggi con voce e fiati, se non si utilizzano accortezze nell’esecuzione, il cantante scompare. In realtà la spiegazione è che ai tempi tromboni e fagotti avevano un suono meno potente, e i flauti di traverso erano di legno invece che di metallo. Questo cambia tutto”.

Nel mondo della musica da anni si lanciano ciclicamente appelli per ritornare all’intonazione verdiana, ma nessuno finora l’ha mai fatto. Il primo esperimento ufficiale dunque sarà quello di Parma, con il laboratorio gratuito rivolto a 24 diplomati che ha l’ambizione di creare in futuro una compagine con competenze specifiche, adatte a questa prassi esecutiva. Il progetto ha ottenuto un finanziamento regionale sul Fondo sociale europeo di 67mila euro e prevede 300 ore di formazione tra Parma e Busseto con il docente coordinatore Maurizio Cadossi, l’esperto di ricostruzione storica del suono Filippo Maria Bressan e altri concertisti. “Se tutto procederà come previsto – continua Ferrari – riusciremo a inserire un’esecuzione in originale all’interno del calendario del Festival Verdi 2017”. Un assaggio del lavoro di ricerca, che sarà eseguito con strumenti originali, si potrà però probabilmente già apprezzare nella rassegna del prossimo ottobre, mentre per l’anno successivo si pensa già a una seconda edizione del laboratorio rivolta ai fiati. “Sarà più impegnativo e dispendioso, perché si tratta di recuperare anche gli strumenti di quel periodo – chiarisce il sovrintendente – L’obiettivo è quello di creare una formazione orchestrale in grado di eseguire il suono strumentale dell’epoca che va dalla metà dell’Ottocento: non solo Verdi, ma anche tutto il repertorio cameristico di quegli anni. Sarebbe un valore aggiunto per Parma e per Busseto, perché Verdi è il compositore più eseguito al mondo, ma solo qui si potrà ascoltare qualcosa che altrove non si può sentire”.

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