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Oggi in 22 città di tutta Italia gli “oil men” di Greenpeace sono entrati in azione per invitare gli italiani al partecipare al referendum sulle trivellazioni offshore del prossimo 17 aprile, quando si potrà democraticamente giudicare la strategia energetica del governo ed esprimersi per la tutela dei nostri mari e del futuro dell’Italia intera.

I volontari si sono vestiti di nero e con lo stesso colore hanno coperto volto e mani, sporcandoli di una sostanza oleosa simile al petrolio: e hanno animato un flash mob per richiamare l’attenzione dei cittadini sul referendum. Indossare il “nero petrolio” è stato un modo per far capire ai cittadini la vera posta in gioco al referendum del 17 aprile: il no alle trivelle è anche un no alla politica energetica del governo fondata sulle vecchie e sporche fonti fossili. Già oggi, con una media di 38 milligrammi per metro cubo, il Mediterraneo è il mare più inquinato dagli idrocarburi al mondo.

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Il 17 aprile gli italiani hanno la possibilità di fermare le piattaforme più vicine alle nostre coste. Producono solo il 3 per cento del gas di cui l’Italia ha bisogno, e lo 0,8 per cento del nostro consumo annuo di petrolio. Generano un gettito di royalties modestissimo, impiegano poche decine di persone. Ma inquinano, e molto. Come dimostra il nostro rapporto “Trivelle Fuorilegge”, che evidenzia concentrazioni preoccupanti di sostanze tossiche e cancerogene nei fondali vicini alle piattaforme e nelle cozze che ci crescono sopra.

Lo scorso luglio abbiamo chiesto al ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, tramite istanza pubblica di accesso agli atti, i dati di monitoraggio delle piattaforme presenti nei mari italiani. Il ministero ha risposto fornendoci soltanto i dati di monitoraggio relativi al triennio 2012-2014 di 34 impianti dislocati davanti alle coste di Emilia Romagna, Marche e Abruzzo. Sulle altre piattaforme operanti lungo le nostre coste, un centinaio, o non ci sono monitoraggi o i dati restano “secretati”: in entrambi i casi si tratta di una prospettiva inquietante.

I dati che il ministero ci ha consegnato (raccolti da ISPRA e di proprietà di ENI, gestore delle piattaforme monitorate) mostrano una contaminazione ben oltre i limiti di legge per le acque costiere per almeno una sostanza chimica pericolosa nei tre quarti dei sedimenti marini vicini alle piattaforme. I parametri ambientali eccedono i limiti per almeno due sostanze nel 67 per cento dei campioni analizzati nel 2012, nel 71 per cento nel 2013 e nel 67 per cento nel 2014. Anche nelle cozze la presenza di sostanze inquinanti ha mostrato evidenti criticità.

Nei sedimenti raccolti in prossimità delle piattaforme e nei tessuti dei mitili raccolti sui piloni di questi impianti si trovano metalli pesanti e idrocarburi, sostanze tossiche e in alcuni casi cancerogene, in concentrazioni talvolta abnormi, paragonabili a quelle che si riscontrano in ambienti contaminati da grandi sversamenti di greggio, come nel disastro della petroliera Prestige in Galizia.

Rottamare le vecchie carrette che, a ridosso delle nostre coste, determinano un degrado ambientale simile non ci costa nulla. Non intacca minimamente, ad esempio, il sistema energetico italiano. Quelle piattaforme estraggono pochissimo, da giacimenti praticamente esausti. In un Paese dove negli ultimi 10 anni i consumi di petrolio e gas si sono ridotti, rispettivamente, del 33 per cento e del 21,6 per cento, privarsi di qualche punto decimale di idrocarburi (per giunta non dall’oggi al domani, ma progressivamente, secondo la scadenza delle concessioni dei vari impianti) non determinerà alcun impatto. Neppure in termini occupazionali: gli addetti di quelle piattaforme si contano nell’ordine di qualche decina.

Il voto del 17 aprile, infine, ha un portata politica più ampia del merito tecnico del quesito referendario. È una data in cui si potrà democraticamente smentire l’indirizzo energetico del governo, che da due anni a questa parte ha individuato nelle misere riserve nazionali di gas e petrolio l’unico orizzonte di sviluppo energetico per il Paese. Si tratta dello stesso governo che, mentre prometteva nuova occupazione grazie alle trivellazioni, penalizzava fortemente il settore delle energie rinnovabili, che ha perso negli ultimi mesi decine di migliaia di posti di lavoro. Greenpeace invita tutti i cittadini italiani a votare Sì al referendum del prossimo 17 aprile, per fermare le trivelle e favorire la transizione verso le energie rinnovabili.

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