“Pare si convincano a rimuovere il macigno più grande”. Pier Luigi Bersani ha così commentato così all’Adnkronos le modifiche alla riforma delle Banche di credito cooperativo previste dal pacchetto di emendamenti bipartisan approvati in commissione Finanze della Camera, dopo il rinvio del voto deciso martedì sera. L’ex-segretario Pd aveva detto che non l’avrebbe votata “nemmeno con 10 fiducie” se fosse rimasta com’era. “Resta qualche altro problema che deve trovare soluzione mi auguro quindi che l’ascolto continui – ha concluso -. Resta da capire  per quale ragione si siano inventati una cosa del genere… “.

Tra le novità più rilevanti votate in commissione, c’è la possibilità di evitare l’adesione alla riforma che prevede l’obbligo di entrare a far parte di un gruppo di credito cooperativo controllato da una società per azioni a sua volta partecipata dalle stesse banche, con l’obiettivo di aggregare gli istituti più piccoli e permettere alle Bcc di accedere a capitali che non arrivino solo dai soci. L’esenzione, o way out, su cui è stato trovato l’accordo, vale oltre che per le Bcc con patrimonio superiore ai 200 milioni, anche per quelle più piccole ma disposte a a conferire l’attività bancaria a una spa “congiuntamente” con un istituto più grande. Per presentare la richiesta di non aderire alla riforma trasformandosi direttamente in società per azioni o deliberando la liquidazione, è stato fissato il termine di 60 giorni a partire dalla data di conversione del decreto. E per farlo la banca dovrà versare allo Stato il 20% del patrimonio netto: solo così potrà conservare le proprie riserve indivisibili, che rimarranno in capo a una coop e non finiranno nella spa a cui verrà conferita l’attività bancaria. In più c’è la salvaguardia ad hoc per il gruppo bolzanino Raiffeisen e arriva il diritto di recesso per quelle che, una volta entrate nella holding, decidessero in un secondo momento di uscire. In questo caso, però, non si potrà più ricorrere al meccanismo della way out ma le alternative resteranno quelle della liquidazione o della trasformazione in Spa, devolvendo le riserve ai fondi mutualistici. La holding, peraltro, potrà avere al suo interno sottogruppi territoriali (così come chiesto da Federcasse) mentre avrà più poteri sui singoli istituti (potendo intervenire sulla governance in circostanze “motivate” e non più anche “eccezionali”).

Meno ottimista di Bersani il deputato di Sinistra Italiana Giovanni Paglia, secondo il quale “è vero il decreto è stato cambiato in profondità, al punto che hanno trasformato grandi errori in grandi errori diversi. E per impedire ai gruppi di intervenire sulle modifiche, il Pd ha presentato le sue in modo tale da impedire sub-emendamenti”. In particolare “le modifiche proposte dal Pd danno al Tesoro il potere futuro di intervenire a piacimento, attraverso un decreto, per far scendere la partecipazione delle Bcc al gruppo sotto il 51%, si facilita il commissariamento da parte della holding e si concede alle Bcc ciò che è già concesso a tutte le cooperative, ovvero lo scorporo in una S.p.A controllata della propria attività, ma imponendo comunque ai soci una tassa pari al 20% del patrimonio netto, senza che si capisca perché”. Inoltre “spingono le piccole Bcc a fondersi con le grandi a cui è destinato il way out e le grandi Bcc a smetterla con la mutualità prevalente, che favoriva il credito a pmi e famiglie. Un vero e proprio capolavoro”. Davide Zoggia, della minoranza Pd che aveva annunciato il no al testo se fosse stata messa in discussione l’indivisibilità delle riserve, ha parlato invece di “significativi passi in avanti”, ma ha anche detto che “ci sono altri punti che restano da modificare, per esempio l’entità del prelievo fiscale che non si capisce perché debba essere uguale per tutti al 20%. Lavoreremo quindi per ottenere gli altri miglioramenti necessari, in commissione e in aula alla Camera e nel passaggio al Senato“, dove il testo approderà dal 5 aprile.

Sarà il Tesoro, con un ulteriore decreto, a dover stabilire i criteri che le holding dovranno rispettare. Il ministero potrà anche decidere di far scendere sotto il 51% la quota della capogruppo in mano alle Bcc. Via XX Settembre è chiamata inoltre a fissare “modalità e criteri per assicurare il riconoscimento e la salvaguardia delle peculiarità linguistiche e culturali delle banche di credito cooperativo aventi sede legale nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome“. Potrebbero quindi esser fatte salve le Bcc del Friuli che appartengono alla minoranza slovena. Un emendamento ad hoc, comunque, permette già alle Bcc delle Province autonome di Trento e Bolzano che operino “esclusivamente nella medesima Provincia autonoma” la possibilità di costituire gruppi autonomi senza aderire a una holding unica: si applicherà alle Bcc del gruppo Raiffeisen. La misura che sulla carta potrebbe valere anche per le Bcc trentine ma non nella loro configurazione attuale visto che non rispettano uno dei paletti della norma, quello cioè di operare nel solo territorio della Provincia autonoma.

Per ottenere la way out le Bcc dovranno entro 60 giorni (non più 120 come prevedeva un precedente emendamento) presentare istanza alla Banca d’Italia chiedendo di conferire l’attività bancaria a una spa. Questo “consente di mantenere il vincolo della destinazione delle riserve ai fondi mutualistici indivisibili”, ha detto il viceministro dell’Economia Enrico Morando. La minoranza Pd contesta però l’obbligo di versare contestualmente allo Stato il 20% del patrimonio. La stesso relatore del provvedimento, Giovanni Sanga, ha ammesso che “nel caso di conferimento dell’azienda bancaria in un Spa appare sostanzialmente analogo” all’affrancamento delle riserve, “ponendo oltretutto problemi di equità, in quanto non tutte le banche sono ugualmente meritevoli e dunque si rischia in tal modo di punire proprio le Bcc più virtuose”.

Per il governo, però, resta ancora aperta la questione degli indennizzi ai risparmiatori truffati da Banca Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti, che sono tornati a protestare, stavolta direttamente sotto il ministero dell’Economia, per chiedere di rivedere i loro risparmi azzerati con il salvataggio dei quattro istituti. Protesta che ha fruttato un incontro con il viceministro dell’Economia, Enrico Zanetti che, come riferiscono i consumatori, avrebbe aperto alla possibilità di aumentare, se si dovesse rivelare necessario, il fondo previsto per i ristori. Quello che manca, al momento, è però il decreto, o meglio i decreti, per far partire le procedure degli arbitrati. Dall’esecutivo, che inizialmente aveva annunciato i decreti per le prime settimane dell’anno, assicurano che l’obiettivo rimane quello di rispettare la scadenza di fine marzo indicata con la legge di Stabilità. Anche perché il lavoro tecnico, volto a individuare la platea di chi è stato truffato o non adeguatamente informato, è stato completato.

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