Metti che un giorno Lorenzo Fragola ti invita a colazione. Non una colazione intesa come pranzo, perché poi la colazione quella con brioche e cappuccino la chiami petit déjeuner, ma proprio  una colazione colazione, la mattina presto. Metti che tu sei quello che, nei mesi precedenti, ha scritto un pezzo su Lorenzo Fragola che ha rotto l’internet, tipo il culo di Kim Kardashan. Metti che quella recensione ha fatto in qualche modo canone, e che ogni volta che ti presenti in un qualche contesto pubblico è tra i due, tre pezzi tuoi che vengono citati, anche se scrivi da vent’anni. Metti che lo stesso Fragola l’ha letta con attenzione, al punto da risponderti per le rime, anche se sulle pagine di un altro quotidiano. Metti che dopo quella recensione c’è stato Sanremo dove gli hai dato costantemente due in pagella, perché la sua canzone, Infinite volte, la trovi una delle più brutte, sicuramente la più brutta a livello di testo, e per di più non adatta alla sua voce. Metti che durante il Festival hai anche provato a approcciarlo, senza successo. E quindi metti che lui ti invita a colazione, il giorno prima dell’uscita del suo nuovo album, Zero gravity, per di più negli studi di Eros Ramazzotti, di cui spesso ti sei occupato, mai in termini elogiativi, e alla presenza del suo produttore, Fabrizio Ferraguzzo, cui hai dedicato più volte parole non esattamente cariche di stima.

66mo Festival della Canzone Italiana, Terza serata

Ecco, metti tutto questo, tu che fai? Tu che in genere non hai una grande vita mondana? Tu che preferisci scrivere degli artisti, più che intervistare gli artisti? Tu che colazione, per tua prassi, la fai alle sei e quaranta di mattina, prima di portare i bambini a scuola, non certo alle dieci e mezzo?

Ovvio: accetti e vai a confrontarti con questo giovane artista, anche con un certo carico di curiosità.

Quel che ne esce fuori, e non è cosa così scontata, è uno degli ascolti più interessanti che mi (perché era di me che stavamo parlando, no?) sia capitato. Ogni brano mi è stato raccontato con cura, nella sua genesi, nella scelta di suoni, nella sua collocazione in scaletta. Senza la volontà, che sarebbe stata malriposta, di convincermi di niente. Senza volermi portare dalla parte di chi ho criticato anche in maniera dura. Ma solo per volontà di confrontarsi.

La mia stroncatura del live di Fragola, che trovate qui, iniziava con la frase “Solo gli stupidi non cambiano idea”. Poi proseguiva ribaltando questa massima, dicendo come l’esordio di Fragola e il suo live mi spingessero a radicare i miei giudizi negativi nei suoi confronti. Stavolta mi trovo a cambiare opinione. Non tanto su Fragola, che onestamente conosco solo attraverso questi due lavori, ma proprio sul suo approcciare la musica.

Se 1995 era secondo me un clamoroso passo falso, stavolta, con Zero Gravity, il cantatore catanese ha iniziato a percorrere la strada giusta, nella speranza che la prossima volta non imbocchi un’altra strada sbagliata.

Passiamo al disco. Zero gravity, il secondo lavoro di Lorenzo Fragola, è vicino alla mia idea di musica giovane e contemporanea. Musica, quindi, non rivolta a me, che non sono giovane, che ormai vado per i cinquanta, ma che io, che ormai vado per i cinquanta penso dovrebbe essere la musica che uno come Fragola, nato nel 1995, quando già avevo vissuto abbastanza da decidere di smettere con l’alcool, so apprezzare e riconosco come buona.

Perché se 1995 era palesemente il frutto di una serie impressionante di compromessi, tra Fragola, la sua casa discografica, le aspettative di chi aveva seguito il percorso di Fragola dentro X Factor e di chi, vai a capire perché, si riteneva in diritto di avere aspettative su di lui, cioè qualcosa di poco uniforme, già sentito e, detto a un ventenne non esattamente un complimento, poco fresco, Zero gravity, seppur nella sua disomogeneità, è quanto di meglio si è ascoltato nel pop di casa nostra negli ultimi tempi.

Fragola ha deciso di fare di testa propria, e lo ha fatto scegliendosi una serie di compagni di strada, quelli giusti. Ha di nuovo con sé il produttore Fabrizio Ferraguzzo, stavolta particolarmente a fuoco, e una serie di autori che hanno assecondato le sue intuizioni, aiutandolo a mettere insieme una tracklist figlia più dei suoi gusti che di un ragionamento. Rory Di Benedetto, Ermal Meta, Dario Faini, Virginio, Tonyu Maiello, Federica Abbate, Andrea Amati, Emiliano Cecere, Antonio Filippelli, tanto per fare qualche nome. Per dirla con parole sue “canzoni che avrei voluto sentire cantate dai miei colleghi, dai miei coetanei”. Anzi, a voler essere razionali, le canzoni che vanno a comporre il nuovo lavoro, sono talmente distanti tra loro, che, ci si fermasse al ragionamento, sarebbero destinate al naufragio. Invece così non sarà. Perché proprio nella varietà di generi, dall’up tempo alla ballata con la cassa dritta nel ritornello, passando per sonorità reggae, per suoni cupi vagamente mengoniani, per Edm e funkettoni, sta la vera forza di Zero gravity. Fragola non segue le regole, e convince. Le canzoni, cantate da lui, che le ha scritte, stanno assolutamente in piedi. Sono godibili, come ci si sarebbe aspettati da lui dopo X Factor. Come invece sorprende, specie dopo il passo falso di Infinite volte a Sanremo (un brano pensato come a un ponte tra il passato di 1995 e il futuro di Zero gravity, mi spiega).

Ci sono ovviamente dei picchi, e delle lievi scivolate, ma nell’insieme sono di più i picchi verso l’alto. Così, se D’improvviso, bella canzone e tutto, sembra un po’ troppo sulla falsa riga delle canzoni marchiate Zampaglione/Canova, tipo Guerriero e L’amore esiste, ma soprattutto Ti ho voluto bene veramente, Luce che entra è una up tempo che non avrebbe stonato nell’ultimo Coldplay (lo si legga come un gran complimento), Weird e Scarlett Johansonn sono due funkettoni di alto livello, internazionale, così come Qualsiasi cosa, tutto, con quella cassa dritta a entrare dove non te l’aspetti, è una ballad contemporanea, per certi versi nordica. Bella anche l’Edm di Con le mani, dove il flow delle parole ben si appoggia su ritmi molto poco italiani, e Dire di no, sempre giocata sull’elettronica, ma più canonica. Ecco, l’elettronica. Se ancora pensate che Fragola sia solo quello con la felpa e la chitarra apparso ormai quasi due anni fa a X Factor, siete fuori strada. Niente chitarre acustiche, qui. Niente batterie. Quasi niente pianoforti. Molta elettronica. Drum machine. Suoni sintetici. Si guarda verso il resto del mondo, e lo si fa con giudizio, credendoci e rimanendo credibili.

Mettiamola così, se 1995 era un 4 questo è un 8. Con la prossima volta si deciderà se è uno destinato a rimanere nell’eccellenza, a strappare una sufficienza o a essere bocciato.

Superata la diffidenza iniziale, anche dovuta all’essersi alzato dopo poche ore di sonno, dopo la festa di presentazione dell’album, l’ascolto è stato tra appassionati di musica, non tra vittima e carnefice (decidete voi chi è chi).

Ora, infatti, arriva però il prossimo passaggio, quello più difficile, cioè focalizzarsi da qualche parte, rendersi riconoscibili nella scrittura, oltre che nella voce, proprio come quel Chris Martin qui andato a ripescare nella cover degli Embrace Gravity, da lui scritta, e più volte evocato durante gli ascolti.

Solo gli stupidi non cambiano idea. Qui, mi sembra, abbiamo cambiato idea almeno in due, io e lui.

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