di Giovanni Marcucci*

I lavoratori occupati nei servizi in appalto aspettano dal 2008 che il legislatore detti una disciplina compiuta per il loro settore, fisiologicamente esposto a frequenti cambi di gestione, con conseguenti licenziamenti e, solo nella migliore delle ipotesi, assunzioni ex novo da parte delle imprese che subentrano nell’attività.

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Con l’art. 7 della legge 31 del 2008, il governo di centrosinistra – “nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto”- aveva intanto introdotto – “al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori” – una procedura più snella per consentire il passaggio del personale presente nell’appalto alle dipendenze del nuovo datore di lavoro.

Con l’assunzione dei lavoratori da parte dell’impresa subentrante e l’applicazione del medesimo trattamento economico precedentemente goduto, si evita alle imprese l’avvio di onerose procedure di licenziamento collettivo, consentendo così un più rapido riassorbimento dei lavoratori e minori costi per le imprese; ciò in armonia con le disposizioni di alcuni contratti collettivi nazionali (che possono prevedere specifiche clausole sociali) oppure in presenza di specifici accordi collettivi. In assenza di queste previsioni il lavoratore coinvolto nel cambio di appalto è destinato a restare senza lavoro.

Con il Jobs act l’attuale governo si è limitato a regolare, con una scarna disposizione, quale sia l’anzianità (e dunque quale risarcimento spetti al lavoratore “in appalto”) in caso di licenziamento illegittimo: in base all’art. 7 d.lgs. 23/2015: “l’anzianità di servizio…. si computa tenendosi conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata”. Anziché portare a termine il percorso avviato dal legislatore del 2008 e favorire la piena occupazione dei lavoratori occupati nel settore degli appalti, si è dunque optato per una pedissequa applicazione, anche in questo particolare settore, della nuova disciplina dei licenziamenti prevista dal contratto a tutele crescenti (consistente, come ormai tristemente noto, in una modesta indennità risarcitoria), e ciò nonostante le particolari esigenze di questi lavoratori, più frequentemente degli altri esposti al rischio di perdere il posto di lavoro.

Rispetto a questa scelta fa da contraltare quella che diventerà una proposta di legge di iniziativa popolare, ovvero la Carta dei diritti universali del lavoro elaborata dalla Cgil (qui il testo integrale), già presentata su questo blog e attualmente oggetto di una vasta consultazione con gli iscritti e i lavoratori sui luoghi di lavoro; nella Carta il problema della tutela dei dipendenti coinvolti nel cambio di appalto è oggetto di una specifica disposizione (art. 91), con la quale si detta una regolamentazione di tutte le fasi del passaggio dell’attività appaltata dall’impresa uscente a quella subentrante, proprio per garantire il più possibile la conservazione del posto di lavoro.

E’ importante richiamarne i punti salienti anche per mettere in rilievo come la declinazione dei diritti dei lavoratori avvenga in una logica di contemperamento con le esigenze delle imprese coinvolte nel cambio di appalto. In estrema sintesi:
– In tutti i casi nei quali i contratti collettivi non contengano specifiche clausole per disciplinare l’assunzione dei lavoratori alle dipendenze dell’imprenditore subentrante, è previsto l’obbligo, per il committente (pubblico o privato) e le imprese interessate, di informare preventivamente le organizzazioni sindacali e, in caso di richiesta da parte di queste ultime, di svolgere un esame congiunto (da esaurirsi entro un termine stringente di dieci giorni) riguardante le eventuali nuove condizioni di svolgimento dell’attività oggetto di cessione, le misure programmate per la tutela dell’occupazione previste da parte dell’impresa subentrante (piano delle assunzioni) e da quella uscente (eventuale ricollocazione del personale su altri appalti);
– E’ previsto l’obbligo per il committente pubblico di inserire nei bandi di gara, nel capitolato e nel contratto di appalto l’obbligo per l’impresa aggiudicataria di garantire la continuità occupazionale dei lavoratori occupati nell’appalto. A tal fine possono essere previste misure dirette a ridurre gli oneri per l’impresa tenuta all’assunzione dei dipendenti in questione;
– In caso di inadempimento dell’obbligo di assunzione, nei casi citati, il lavoratore può agire in giudizio per chiedere la costituzione del rapporto in capo all’impresa appaltatrice subentrata;
– Nei casi in cui non operino gli obblighi di assunzione sopra citati è comunque stabilito per il lavoratore disoccupato il diritto di precedenza, per i 12 mesi successivi, nelle assunzioni effettuate per mansioni analoghe da parte dell’appaltatrice subentrata e, in ogni caso, il diritto di accesso alla Naspi (nuova versione dell’indennità di disoccupazione introdotta con il jobs act) anche in mancanza dei requisiti contributivi previsti dalla legge.

Come si vede, sarebbero sufficienti poche ma chiare disposizioni contenute in un unico articolo per mettere a punto una tutela del lavoro del tutto compatibile con le esigenze delle imprese che svolgono attività nel settore degli appalti e per colmare una lacuna normativa che dura ormai da troppi anni. Il legislatore vorrà farsene carico?

* Studio legale Gariboldi-Ghidoni-Marcucci
L’attività dello studio in ambito giuslavoristico, fin dalla sua costituzione (1994), è esclusivamente volta alla difesa dei diritti dei lavoratori – sia sul piano contrattuale, che su temi di natura previdenziale – operando sui territori di Milano, Monza, Lodi, Pavia, Vigevano, Voghera, Como, Bergamo, Brescia, Lecco, anche in collaborazione con le strutture vertenziali della Cgil.

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