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Ormai è chiaro: la Commissione europea non ha alcuna voglia di aprire procedure d’infrazione contro l’Italia anche se, da anni ormai, non rispettiamo gli impegni presi sulla riduzione del debito pubblico. Due giorni fa, il coordinamento dei ministri economici dell’Eurogruppo ha confermato l’analisi della Commissione: il saldo strutturale dell’Italia (cioè il deficit corretto per le componenti del ciclo economico), nel 2016 doveva migliorare dello 0,1 invece peggiorerà dello 0,7 per cento.

Matteo Renzi però ha deciso che di tutti i vincoli di bilancio rispetterà soltanto quello comprensibile per l’elettorato: il limite del 3 per cento al rapporto tra deficit e Pil. Non è certo il più severo, ma le formule che determinano gli altri sono così esoteriche che nessuno – tra Roma e Bruxelles – può dire con assoluta certezza di avere capito come applicarle.

Ieri il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis e il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici si sono rivolti a vari Paesi fuori linea, Italia inclusa. Ma solo per dire che i problemi verranno rinviati ancora: “Sarà importante per l’Italia assicurare che le misure necessarie per rispettare il percorso di aggiustamento raccomandato per raggiungere l’obiettivo di medio termine (cioè il pareggio di bilancio, ndr) vengano annunciate e dettagliate in modo credibile entro il 15 aprile”.

In pratica con l’inizio della nuova – ormai perenne – sessione di bilancio che dovrà definire il quadro per la legge di Stabilità 2017. Già in primavera si dovrebbe capire se e come il governo riuscirà ad aggirare la barriera delle clausole di salvaguardia, che soltanto per il 2017 valgono oltre 16 miliardi. Dopo settimane di violente polemiche, con la visita del presidente della Commissione Jean Claude Juncker a Roma a fine febbraio, tutto sembra rientrato. Renzi non ha ottenuto nulla e la Commissione continua a minacciare. Nel più classico degli schemi europei si rimandano i problemi. Ma non sarà possibile farlo per sempre.

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