Se qualcuno volesse convincere il suo medico sportivo che la marijuana fa bene, o che comunque è meno pericolosa dell’assunzione di doping o altri medicinali, da oggi ha il supporto di uno sportivo di grandissimo livello che ha passato vent’anni nella Nba. Da giocatore Clifford Ralph Robinson ha fatto due finali Nba con i Portland Trail Blazers, la squadra dell’Oregon in cui è nato è cresciuto, ha partecipato a un All Star Game e ha vinto il premio di Sesto Uomo dell’anno. La sua carriera è stata lunghissima, caratterizzata dalla fascetta rossa in testa e dalla danza che gli ha dato il soprannome di Uncle Cliffy.

Ora che ha smesso si fa invece chiamare Uncle Spliffy (lo spliff inglese è la canna ndr.), dal nome della sua società che produce “marijuana pensata per gli atleti”. Ovvero cannabis utilizzata come rimedio al logorio della vita moderna e come alternativa alle medicine tradizionali di cui sono bombardati gli sportivi, spesso con effetti assai nefasti. “La marijuana è meglio di tanti farmaci che gli atleti prendono a fine giornata – ha detto Cliff -, quelli sono sintetici, mentre io sto parlando di qualcosa di naturale, che può portare benefici in termini di tensione muscolare e relax”.

Uncle Cliffy è stato squalificato per ben tre volte in carriera, nel 2001, nel 2005 e nel 2006, per poche giornate e sempre per uso di cannabinoidi. Eppure, come spiega lui: “Mi ha aiutato tantissimo. A differenza dei farmaci normali che mi davano problemi allo stomaco, la cannabis era un rimedio naturale che riusciva a rilassarmi dallo stress mentale del basket professionistico. Inoltre, le sostanze chimiche che ci erano propinate spesso portavano alla dipendenza, oltre ad avere molteplici controindicazioni ed effetti collaterali. Era giusto allora, ed è ancora più giusto oggi, cercare delle soluzioni alternative”. Da luglio l’Oregon è diventato il ventiquattresimo stato degli Usa a riconoscere il valore terapeutico della cannabis, il quarto insieme a Colorado, Washington e Alaska (oltre al distretto di Columbia, ovvero la capitale Washinton DC) a consentirne l’uso ricreativo.

Da gennaio Cliff Robinson ha aperto la sua società “Uncle Spliffy” per la diffusione consapevole della marijuana a scopo terapeutico e ricreativo. Con un occhio di riguardo alla medicina sportiva. L’ex cestista della Nba ha preso maledettamente sul serio questo nuovo ruolo, attorniandosi di medici e partecipando a diverse conferenze in giro per gli Stati Uniti. “L’utilizzo della cannabis come trattamento per le patologie croniche è sempre più diffuso e disponibile al grande pubblico – spiega lui -, ma non agli atleti professionisti, cui restano opzioni molto limitate”. E gestite dal business della medicina sportiva, per non parlare dell’immensa struttura economico-politica del doping la cui diffusione è oggi capillare nello sport, dai professionisti ai semplici amatori. La Nba non permette ancora oggi l’utilizzo di marijuana ai propri atleti, e lo stesso la lega del basket universitario Ncaa. Delle quattro grandi leghe professioniste americane solo la Nfl non include la cannabis tra le sostanze proibite, e infatti Uncle Cliffy ha trovato un valido alleato nell’ex giocatore di football americano Kyle Turley (New Orleans, St. Louis e Kansas City), oggi portavoce della Gridiron Cannabis Coalition. A loro si è aggiunto anche un altro ex giocatore Nba, quel Jay Williams ex promessa dei Chicago Bulls, prima che un incidente stradale ne fermasse la carriera. La campagna per convincere il mondo dello sport che una canna è meno pericolosa del doping è appena cominciata.

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