Per qualcuno gli uomini musulmani sono quelli del Capodanno di Colonia. Sono quelli che violentano le donne occidentali e picchiano le loro. E che interpretano in modo letterale il Corano. Il progetto milanese Aisha parte da qui: combattere queste semplificazioni, comode per una parte della politica. Ma non si ferma a questo, vuole andare oltre. L’obiettivo è, infatti, aiutare a denunciare e a difendersi tutte le donne musulmane che hanno subito violenza. Senza negare che in determinati contesti le donne di fede islamica sono discriminate. L’iniziativa presentata oggi a Milano e organizzata dal Caim (Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano e Monza e Brianza) nasce da un’idea di oltre un anno fa, prima dei fatti di Colonia ma anche prima degli attentati di Parigi, due eventi che hanno rafforzato i pregiudizi nei confronti di tutto il mondo islamico. “I luoghi di comuni ci sono e ci saranno sempre noi vogliamo operare anche per scardinare gli stereotipi e i pregiudizi – spiega Sumaya Abdel Qader, sociologa di origini giordano-palestinesi e coordinatrice del progetto – Tuttavia quello che si dice in giro ci interessa fino a un certo punto. Il nostro unico obiettivo è un programma che aiuti le donne”.

Nel concreto quindi Aisha percorrerà molte strade: promuoverà corsi di formazione per aiutare gli imam delle diverse comunità a riconoscere una violenza o una discriminazione e ad assistere le vittime anche dal punto di vista giuridico. Inoltre verranno formate delle mediatrici culturali con l’obiettivo di farle diventare un punto di riferimento per la comunità. Spesso, infatti, le donne musulmane residenti in Italia non sono neanche a conoscenza di tutti i servizi di assistenza a cui potrebbero accedere. “Molte pensano addirittura che qui valgano le stesse leggi del loro paese di origine – spiega la psicologa Nadia Muscialini – e spesso hanno poca fiducia nelle nostre istituzioni”. Una parte specifica del progetto si concentrerà poi sulle adolescenti di seconda generazione: ragazze nate e cresciute in Italia ma che allo stesso tempo tra le mura domestiche devono confrontarsi con genitori che non hanno abbandonato alcuni retaggi culturali del paese d’origine. Alcune di loro sono costrette ad abbandonare gli studi o non possono fare sport. Altre subiscono mutilazioni genitali o rischiano di rimanere incastrate in matrimoni forzati. Per questo motivo Aisha organizzerà incontri con i genitori per scalfire alcuni tabù e corsi prematrimoniali rivolti alle future coppie per educare all’affettività. Infine il progetto contribuirà a fare delle ricerche di settore. “E’ un fenomeno che si conosce ancora molto poco – afferma Sumaya –cercheremo di capire quante sono i casi di violenza sia fisica che psicologica. Ci sono delle stime, ci sono dei dati ma in realtà non sono molto realistici. A volte sottostimano a volte sovrastimano il problema”.

Un’iniziativa del genere prima di poter essere realizzata ha dovuto vincere molte resistenze. All’esterno della comunità islamica ma anche al suo interno. “Sì è vero, ci sono state opposizioni e malumori al nostro interno e non è una questione da sottovalutare – ammette Davide Piccardo, coordinatore del Caim – ma la maggior parte delle opposizioni sono figlie della paura di essere strumentalizzati. Una parte della nostra comunità teme tutto questo. Non è facile ammettere le proprie debolezze. Noi abbiamo dimostrato di sapere prendere di petto questi problemi senza complessi di inferiorità. Tuttavia è opportuno che il resto della società aiuti a rimuovere questa pressione che c’è su tutto il mondo mussulmano”. Anche per questo Aisha non vuole essere un progetto circoscritto alle comunità islamiche ma si vuole aprire anche ad altre realtà. “Ci deve essere un confronto tra la nostra cultura e quella laica – afferma Patrizia Khadija Dal Monte, teologa dell’EMN-European Muslim Network – Il pensiero laico ha la sua importanza perché riesce a tenere conto di cose che ogni tanto noi non vediamo. Per questo la stabilizzazione in occidente di milioni di musulmani è un’ottima opportunità per tutti”.

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