Chi l’aveva già data per morta, sepolta insieme a Jeb Bush nella tomba del familismo americano, adesso deve ricredersi: nelle primarie in South Carolina, Hillary Clinton non ha battuto soltanto Bernie Sanders, che era facile, ma ha addirittura battuto nel voto nero l’Obama 2008: ha ottenuto ben il 73,5% dei voti, contro il 26% del suo rivale (39 delegati alla convention, contro 14); e ha preso l’84% dei suffragi degli afro-americani (Obama ne aveva preso il 78%, quando la batté qui per la nomination).

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L’ex first lady affronta, quindi, lanciata, il Super Martedì del 1° marzo, quando i democratici votano in una dozzina di Stati e Territori – altrettanto fanno i repubblicani, ma la geografia delle primarie non sempre coincide. La Clinton ottiene alfine la vittoria a valanga che le mancava, dopo i due successi risicati in Iowa e Nevada e la batosta nel New Hampshire; e riparte in campagna insistendo sui punti chiave del suo programma sociale ed economico: aumento dei salari, tutela dell’economia dagli eccessi della finanza, riforma della giustizia, no all’aumento senza controlli dei prezzi dei farmaci.

La vittoria di Hillary in South Carolina, lo Stato più popoloso a essersi finora pronunciato – quasi 5 milioni d’abitanti per 80 mila kmq -, fa dire a Donald Trump, battistrada repubblicano, che qui aveva vinto una settimana fa, e ha poi rivinto pure nel Nevada, che per la Casa Bianca la sfida sarà tra lui e l’ex first lady.

Per la Clinton, l’aver fatto man bassa di suffragi afro-americani è un risultato importante: finora, infatti, non era chiaro se l’ex first lady facesse breccia nel ‘popolo di Obama’, nonostante il marito Bill, quando era alla Casa Bianca, fosse stato definito “il primo presidente nero d’America”, per la popolarità di cui godeva fra gli afro-americani. Adesso Hillary può guardare con ottimismo al voto negli altri Stati del Sud, dove i neri rappresentano la maggioranza dei democratici.

La sconfitta aumenta invece la pressione su Sanders, un po’ in perdita di velocità in questi giorni: il senatore del Vermont deve tornare a vincere per sperare di fermare, o almeno rallentare, la marcia di Hillary. Altrimenti la nomination sarà fatta in tempi rapidi: già il 2 mattina, se il Super-Martedì sarà un ko; o a metà marzo, dopo Ohio e Florida. Il senatore del Vermont si congratula con la rivale, ma avverte: “La campagna è agli inizi. La nostra rivoluzione politica sta crescendo Stato per Stato”.

Hillary invece, vestita di bianco sul palco della vittoria, ringrazia i suoi sostenitori entusiasti e afferma: “Da oggi la campagna diventa nazionale”. A Columbia, l’x first lady è sola: Bill sta andando a fare campagna in Florida; Chelsea, incinta, festeggia il compleanno, prima di riprendere il posto in campagna a fianco della mamma. Hillary è evidentemente soddisfatta del risultato ed emana sicurezza. “Altro che costruire muri, dobbiamo abbattere le barriere, abbatterle tutte”, dice, con un riferimento al muro che Trump vuole alzare al confine con il Messico. E ancora: “Non dobbiamo far tornare l’America grande, l’America già lo è. Quello che dobbiamo fare è unirla”, con un riferimento allo slogan del magnate Make America Great Again.

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