Si legge sempre meno, il libro sta diventando un medium elitario e il digitale apre scenari imprevedibili sui consumi culturali. Quella che emerge dall’indagine “La trasmissione della cultura nell’era digitale – Una inchiesta sul sapere”, curata da Censis e Istituto Enciclopedia Treccani, è un’immagine complessa, che presenta evidenze e intuizioni di rilievo ma anche interrogativi che meriterebbero approfondimenti.

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L’indagine rileva innanzitutto una peculiarità tutta italiana: crescono i laureati e calano i lettori, i tassi di scolarizzazione e la propensione alla lettura seguono traiettorie divergenti. In un anno, il 56,5% degli italiani non arriva a finire nemmeno un libro. E’ una novità recente, sostiene il rapporto: in epoca predigitale l’automatismo tra crescita dei laureati e propensione alla lettura “aveva funzionato bene”.

I primi a risentire di questo trend sono gli editori: calano i fatturati e aumentano le cessazioni di attività. La flessione dei ricavi, sostengono però Censis e Treccani, non dipenderebbe solo da fattori strutturali ma anche dalla rivoluzione digitale, che ha reso l’approccio al sapere e alla lettura, specialmente da parte di alcuni segmenti della popolazione, più smart, più efficiente e più rapido, causando un allontanamento dai libri a favore dei sistemi digitali”.

Seppur in ritardo rispetto al resto d’Europa, nel nostro Paese aumenta infatti la percentuale di popolazione connessa. Altra traiettoria divergente, diffusione di tecnologie digitali e acquisti di libri: tra il 2007 e il 2014 gli acquisti di smartphone sono cresciuti del 145,8% e la spesa per l’acquisto dei libri è crollata del 25,3%. E per Censis–Treccani è segno di una mutazione antropologica, perché il mezzo di apprendimento “non è neutrale”. Libro e web, sostiene il rapporto, attivano facoltà mentali diverse: quando i messaggi passano attraverso lo schermo, gli elementi emotivi hanno la meglio su quelli cognitivi. I dispositivi digitali, inoltre, ci pongono in uno stato di attenzione parziale continua: l’interruzione ha la meglio sulla concentrazione. Allo stesso tempo, siamo nella condizione di reperire rapidamente, ovunque e gratuitamente quasi ogni genere di informazione.

A cambiare non sono dunque solo i consumi culturali ma anche le tecniche della conoscenza. E ciò che espande internet sarebbe anche ciò che allontana dal libro. La rete, sostengono Censis e Treccani, porterebbe con sé inediti pericoli di solipsismo e conformismo: la personalizzazione e l’autoreferenzialità dell’impiego di media digitali consentirebbero di fatto di comporre, su ogni dispositivo, un’enciclopedia fatta solo con informazioni che l’utente sa già di voler conoscere. In un ecosistema dove “aziende editoriali e istituzioni culturali non fanno più da filtro”, la rete svolgerebbe una funzione “oracolare” ma le si attribuirebbero “caratteristiche sovrastimate di attendibilità ed esaustività”.

La seconda parte del rapporto parte da qui ed è focalizzata su un campione specifico: i laureati con più di 25 anni, quindi la fascia che esprime una domanda consapevole di cultura e può manifestare in modo più chiaro il cambiamento. Questo campione accede a internet tutti i giorni e legge libri. E qui la musica cambia. “Il segmento” sostiene il rapporto “sembra muoversi con disinvoltura nella direzione di una integrazione tra le diverse tecnologie, tradizionali e digitali, in chiave critica e adattiva”. Il 79% degli italiani laureati over 25 valuta positivamente la possibilità di produrre, sul web, una propria bibliografia multimediale personalizzata. Allo stesso tempo, il 74,4% ritiene comunque insostituibile il libro. L’85,8% di questo campione riconosce che il risultato delle ricerche online spesso non è quello che ci si aspettava e che, quindi, è utile seguire il flusso dei risultati per fare nuove scoperte che all’inizio non si sapeva di voler conoscere.

Contestualmente, solo per il 6,5% le risposte che si trovano su internet sono esaustive e non c’è bisogno di verificarle altrove. Ed è, a parere di chi scrive, un dato rilevante: i cosiddetti “lettori forti” del nostro Paese sono soprattutto in questo campione demografico e tutto lascia pensare che chi spende reddito in libri probabilmente continuerà a farlo.   

Ferma restando la validità scientifica dell’indagine, il rapporto lascia insolute molte questioni. La diffusione del digitale mette in discussione alcune rendite di posizione in tutto il sistema, ma al cambiamento concorrono anche fattori più profondi. Molto interessante sarebbe, ad esempio, approfondire quale responsabilità possano avere nel calo complessivo della propensione alla lettura il progressivo impoverimento della componente umanistica dei nostri programmi scolastici e un processo di riforma della scuola che non conosce sosta da vent’anni. Né è stato sufficientemente indagato, nel rapporto, l’atteggiamento degli editori.

“Il mercato librario” riconoscono Censis e Treccani “si consuma in fretta, orientato prevalentemente alla conquista dei lettori attraverso novità editoriali, piuttosto che per mezzo di classici”. Ma può essere detto anche di più. A quale competitività può aspirare un’editoria che, succube di altri media, ad ogni Natale sforna prime edizioni firmate da star della tv e dello spettacolo? Il libro è minacciato da internet o da chi riempie le vetrine di libri che servono esclusivamente a chi li scrive? Non ci si può lamentare se la quota di popolazione che chiede cultura la cerca poi su internet, magari via e-commerce e acquistando libri pubblicati all’estero.

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