Nemmeno i bilanci floridi salvano i posti di lavoro. Destini incrociati per gli occupati di due grandi costruttori, che pure hanno appena orgogliosamente presentato numeri positivi. Ford, tornata in attivo dopo anni in Europa, ha annunciato un piano di esodi su base volontaria per il Vecchio Continente, mentre Daimler, che ha esibito il miglior esercizio della propria storia, ha annunciato la cancellazione di 1.250 posti di lavoro negli Stati Uniti.

Ford ha spigeato di aver “stabilito un nuovo record di profitti al lordo delle tasse” ufficializzando di essere “tornata alla profittabilità in Europa, dove negli ultimi anni ha portato avanti un significativo processo di trasformazione dell’operatività attraverso una riduzione dei costi operativi, applicando una visione strategica orientata agli obiettivi ed effettuando importanti investimenti sul prodotto”.

Nel Vecchio Continente (UE + EFTA) lo scorso anno l’Ovale Blu ha consegnato oltre un milione di auto (1,021), esclusi i redditizi veicoli commerciali per i quali ha rivendicato il primato nei principali venti mercati, con un profitto, al lordo delle tasse, di 259 milioni di dollari (233 milioni di euro) migliorando di 850 milioni di dollari (675 milioni di euro) il risultato del 2014, quando per la prima volta dal 2009 era riuscita a recuperare quote di mercato. Jim Farley, numero uno per Europa, Medio Oriente ed Africa, ha fatto sapere che il piano di ristrutturazione andrà avanti con un “programma di esodi, esclusivamente su base volontaria, che contribuirà a generare una riduzione nei costi operativi e amministrativi di oltre 200 milioni di dollari (180 milioni di euro, ndr)”. Il piano riguarda i cosiddetti bianchi, visto che negli anni scorsi l’operazione di “razionalizzazione” ha coinvolto soprattutto le “tute blu”.

E se un costruttore americano sforbicia in Europa, uno europeo taglia negli Stati Uniti. La divisione trucks di Mercedes-Benz ha ufficializzato la riduzione dell’organico in due stabilimenti della North Carolina dove vengono prodotti veicoli industriali dei marchi controllati Freightliner (Mount Holly) e Western Star (Cleveland). Per i siti si tratta di sacrifici significativi che valgono un terzo (700 posti) ed un quarto (550) dell’occupazione. La casa con la Stella intende così anticipare la stimata flessione del 10% della domanda in Nord America. Per quanto legittima – come quella di Ford – la decisione stride con le cifre del bilancio appena reso pubblico a Stoccarda all’inizio di febbraio. Tanto positivo che porterà allo stacco della cedola più alta della storia del marchio (3,25 euro per azione, 80 cent in più rispetto al 2014).

Daimler ha fatturato quasi 150 miliardi di euro (+15%) con un EBIT (risultato prima delle imposte) di 13,8 miliardi (erano 10,1 nel 2014) ed un ROS (il rapporto tra il risultato operativo e le vendite nette) schizzato al 9,3% (dal 7,7% dell’esercizio precedente). La sola divisione Trucks, seppur con volumi aumentati dell’1%, aveva assicurato entrate in crescita del 16% (37,6 miliardi) con un EBIT lievitato del 32%. Le consegne nel Nord America tra Stati Uniti, Messico e Canada, area che da sola vale il 38% dei volumi dell’intera divisione Trucks, sono passate da 161.000 a 192.000. Alla garanzia del lavoro, Daimler ha preferito la soddisfazione degli azionisti (tra i quali c’è l’Alleanza Nissan Reanult: i francesi hanno appena annunciato l’assunzione a tempo indeterminato di mille lavoratori nel corso del 2016). Del bilancio positivo beneficeranno anche i dipendenti di Daimler in Germania: nella busta paga di aprile, 125.000 lavoratori del gruppo indipendentemente da qualifica e anzianità riceveranno un bonus di 5.650 euro lordi, 1.300 in più rispetto allo scorso anno.

Nella foto in alto, l’assemblaggio di un Freightliner Cascadia

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