“Babbo, che fai? Litighi con Totti?”. Sì, come chiede il suo figliolo, Luciano Spalletti ha litigato con Francesco Totti; “il più grande giocatore del dopoguerra”, l’ha definito il tecnico toscano, magari esagerando un attimino, per provare a mettere una pezza ad un pasticcio che nella Capitale verrà ricordato per decenni. L’ottavo re di Roma detronizzato da un allenatore, non proprio qualsiasi perché Spalletti per la Roma ha significato tanto, ma quasi. Non è la prima volta, però. E non sarà l’ultima. Capita spesso che il campione vada di traverso al mister: liti storiche, aut aut lancinanti, tifoserie e società divise. E comunque finisca, è quasi sempre una sconfitta.

“Mi ricorda me e Cuper”, ha detto Ronaldo, tornato in visita a San Siro, prontissimo a rinfrescare le giustificazioni di un addio che la Milano nerazzurra non potrà mai perdonare. Il Fenomeno scelse di “fuggire” al Real, dopo la disfatta del cinque maggio. Ma che fra lui e l’Hombre vertical non corresse buon sangue non è mai stato un mistero. La lista è lunga, solo per limitarsi ai grandi allenatori e grandissimi giocatori (altrimenti diventa infinita). Sacchi non sopportava Van Basten. Mourinho a Madrid verrà ricordato più per aver posto fine all’era di Casillas, che per uno scudetto passato quasi nell’anonimato. Guardiola volle ad ogni costo Ibrahimovic al Barcellona, per poi farlo scappare sbattendo la porta come solo Zlatan sa fare. Cassano ha litigato con Capello (e poi con praticamente chiunque altro lo abbia mai allenato). Baggio si detestò poco cordialmente con Lippi, si scontrò furiosamente con Ulivieri, non si capì ancora con Sacchi (“Ma questo è matto”, citazione storica da Usa ’94). Segno che magari ad avere problemi sono sempre certi campioni, e certi allenatori che sono loro delle stelle.

Non è il caso di Spalletti e neppure di Totti, in realtà. Allenatore antidivo il primo, leggenda silenziosa il secondo, che in tutti questi anni non ha mai piantato troppe grane nello spogliatoio. I problemi, e non sono mancati, sono sempre stati a causa endogena. Per quei tifosi che identificano la Roma e la romanità nella sua figura, fin quasi ad anteporre il giocatore alla squadra. Distorcendo la realtà, dilatando la forma del tempo che passa, continuando a credere che il loro capitano sia sempre e comunque il calciatore più forte del mondo, come per un certo momento è stato per davvero. Finendo per convincere il diretto interessato che una panchina di troppo, anche a 40 anni, sia atto di lesa maestà e non semplice ricambio generazionale. Ma il dibattito su ragione e torto fra campione e allenatore è abbastanza sterile: la ragione non sempre serve. E neppure quel precedente tra Panucci e Spalletti di sette anni fa, che può dare qualche indicazione sul carattere focoso e testardo del tecnico toscano: oggi come allora, chiedeva in fondo solo rispetto per il gruppo. C’è solo un Capitano (almeno secondo i tifosi). Se anche vincerà il braccio di ferro con la società, come altri prima di lui, Spalletti ha già perso: comunque vada, nella memoria resterà l’allenatore che ha cacciato Totti. Per Roma e i romanisti, neppure uno scudetto varrebbe mai questo prezzo.

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