Il Fisco italiano chiede ai contribuenti nel 2015 circa 34 miliardi di euro. Le cause nel 2015 sono aumentate del 6% (e ben del 13% in primo grado) rispetto all’anno precedente, in assoluta controtendenza con i dati inerenti le cause civili, in picchiata da qualche anno grazie a due fattori: i cittadini tra lo spendere per tutelare i propri diritti e comprare pane, prediligono ovviamente la seconda; la disincentivazione all’accesso alla giustizia da parte del legislatore con l’introduzione di (pur condivisibili) strumenti deflativi di Adr (Alternative Dispute Resolution) e con l’abnorme aumento delle spese di giustizia (da un lato per fare cassa e dall’altro per scoraggiare le cause, così però realizzando un diritto censorio vergognoso, che interessa la middle class, sempre più larga).

Il 50% di tali contenziosi tributari investe la materia dei tributi locali e l’altro 50% i tributi erariali

Questi i dati appena forniti dal presidente del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria (Cpgt) all’apertura dell’anno giudiziario delle commissioni tributarie.

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Si aggiunga come poco fa Equitalia e Agenzia delle Entrate in audizione alle Camere abbiano riferito come 1/5 degli avvisi di pagamento sia frutto di errori (che però, costringono il contribuente a pagare o a spender soldi per impugnare l’atto). E si aggiunga un dato conclamato e ripetuto da anni nei consessi scientifici, ossia che circa il 50% dei contenziosi vede come soccombente l’Ente impositore.

Si aggiungano poi altri dati inquietanti. Il primo è la sistematica violazione di riserva assoluta di legge da parte dell’esecutivo, talché di fatto a decidere sulle norme tributarie è fintamente il Parlamento. Una farsa (in)costituzionale. Il secondo è che l’Agenzia delle Entrate (parte interessata e dunque non terza) continua ad inquinare il quadro legislativo volutamente già scritto male, attraverso le sue circolari che pretende costituiscano fonti interpretative. Il terzo è come la giustizia tributaria dipenda dal Mef e non non dal ministero della Giustizia. Dunque l’arbitro risponde al giocatore dominante. Il quarto è che quando vinci una causa contro l’ente impositore (Agenzia Entrate, Equitalia, Comune, Provincia etc.) assai spesso i giudici ti compensano le spese, così violando ciò che sancisce il codice.

Il quadro complessivo è imbarazzante. Anzi è devastante per il contribuente e assai vantaggioso per il Fisco. E’ come giocare una partita truccata, dove uno dei due partecipanti sui 100 metri parta 50 metri più avanti.

Certo, in Italia c’è un’evasione enorme che va debellata. Una metastasi. Ma questo non giustifica la partita truccata (norme aberranti, indecifrabili e scritte da chi non dovrebbe; circolari scritte da uno dei due giocatori; arbitro di parte). E a tutto ciò si aggiunga un peso fiscale che ha pochi uguali nel mondo e soprattutto non ha alcuna giustificazione se non quello di dover sanare un debito pubblico realizzato da politicanti d’accatto, corrotti ed incapaci.

Vi farò qualche esempio concreto di cosa accada. Il Comune di Milano pretende (con avviso e poi con ingiunzione) l’Imu per molti anni (2009/2013). Il contribuente dimostra al Comune che non son dovuti perché l’immobile è stato venduto nel 2008. Glielo comunica prima via PEC. Fa poi tempestiva istanza di autotutela, allegando l’atto pubblico di vendita. Attende quasi l’ultimo giorno utile (59mo) ma il Comune non rimuove gli atti palesemente illegittimi. Il contribuente si vede obbligato a notificare il ricorso, altrimenti l’atto diverrebbe esecutivo. Attende poi ancora fino all’ultimo prima di iscrivere la causa a ruolo (altri 30 gg utili per il Comune, per annullare gli atti). Ma niente. Deve dunque iscrivere la causa a ruolo spendendo soldi per i contributi unificati (uno per ogni atto impugnato!) e per difendersi. La Commissione Tributaria Provinciale sospende ovviamente gli atti. Qualche giorno prima dell’udienza di trattazione, il Comune manda una nota scritta al contribuente e ai giudici tributari, comunicando che effettivamente l’Imu non era dovuta. A questo punto il contribuente, il quale ha sopportato la fatica di Sisifo (tempo, denaro, difesa, preoccupazione etc.), consentendo al Comune in ogni modo di evitare il contenzioso, chiede che i giudici condannino alle spese (soccombenza virtuale) il Comune. Risultato? La sentenza dichiara “cessata la materia del contendere, spese compensate”. Ridicolo.

Il contribuente impugna la sentenza e chiede ora alla Commissione Regionale di riformare e condannare il Comune alle spese di lite. Dunque per far valere i propri sacri diritti ne nasce una seconda causa, altrimenti il contribuente rimarrebbe beffato.

Pensate sia finita? No. Perché solo poche settimane dopo la sentenza del 2015, il Comune chiede pure l’Imu per il 2014, per lo stesso immobile, allo stesso contribuente.

Chi produce dunque il contenzioso fiscale in Italia?

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