Insegnare storia, geografia e matematica ai propri figli senza mandarli a scuola, senza lezioni frontali, compiti o ricreazioni, ma educandoli direttamente da casa. In Italia si chiama “educazione o istruzione parentale”, come la definisce anche il ministero dell’Istruzione, a livello internazionale è più conosciuta come homeschooling. Si tratta della decisione dei genitori di non iscrivere i bambini a scuola, facendosi carico della loro istruzione. Sono circa un migliaio le famiglie che nel nostro paese optano per questa scelta, che spesso ha origine da una posizione critica verso il sistema scolastico. “La maggior parte delle persone che decidono di fare homeschooling lavora o ha lavorato nel settore scolastico e ha avuto una brutta esperienza” spiega a ilfattoquotidiano.it Erika Di Martino (foto presa dal suo sito www.controscuola.it), 35enne italoamericana che ha fondato il network www.educazioneparentale.org e che sull’argomento ha scritto anche un libro.

Ex insegnante, Erika ha cinque figli e vive a Pavia con il marito che fa il grafico. Per loro l’homeschooling è cominciato proprio dopo l’impatto negativo con la scuola. Il primogenito, che ora ha 11 anni, è stato iscritto regolarmente alla materna, ma i genitori hanno quasi subito cambiato idea. “Ho notato che mio figlio era più nervoso, teso e anche più competitivo – racconta Di Martino -. Il problema è che alla materna le classi sono troppo popolate e i bambini non riescono a essere seguiti come dovrebbero. Non è colpa delle maestre, che sono professioniste meravigliose, ma spesso sono vittime di questo sistema e non riescono a fare tutto”. Dopo un anno di scuola materna i genitori hanno cercato, invano, una scuola primaria che non facesse il tempo pieno e non avesse un turn over continuo di insegnanti. Di qui la decisione di fare da soli, da cui non sono più tornati indietro. Erika ha lasciato l’insegnamento e ha cominciato a lavorare da casa, tra traduzioni e consulenze famigliari, per dedicare la maggior parte del tempo ai propri figli e alla loro istruzione. La pratica, chiarisce l’italoamericana, è legale perché l’articolo 34 della Costituzione italiana dice che “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, ma non si specifica l’obbligo di iscrizione a una scuola.

Chi vuole educare da solo i proprio figli deve comunicarlo ogni anno alla direzione didattica territoriale. Su richiesta delle famiglie, i bambini possono poi sostenere un esame a fine anno per testare il grado di istruzione, oppure nel caso vogliano ottenere un diploma o rientrare a scuola. “Ma questo è obbligatorio solo se vogliono iscriversi alle superiori o all’università in Italia, perché – spiega l’ex insegnante – all’estero ci sono Paesi in cui contano solo il test di ingresso e la preparazione”. Qui il fenomeno dell’homeschooling è molto più diffuso: nel 2012 negli Stati Uniti si contavano circa 2 milioni di ragazzi educati a casa, in Inghilterra 70mila, 60mila in Canada, 3mila in Francia e 2mila in Spagna. In Italia il Miur per l’anno 2014-2015 ha registrato 945 minori con una prevalenza nelle scuole secondarie (638 ragazzi) e una diffusione su tutto il territorio nazionale, con picchi in Sicilia e in Campania.

L’educazione parentale però è in crescita anche nella Penisola. Basti pensare che al raduno annuale di homeschoolers che si tiene a giugno a Rimini, nel giro di quattro anni i partecipanti sono passati da 40 a 700. “Il boom arriverà tra qualche anno – spiega Di Martino – quando i bimbi di adesso raggiungeranno l’età per l’iscrizione scolastica, e il numero continuerà a crescere, perché ci sono sempre più famiglie scontente delle condizioni della scuola”. Per esempio, genitori che si lamentano per i figli catalogati come dislessici e quindi “ghettizzati”, o che subiscono episodi di bullismo, oppure i più dotati, che magari sanno già leggere e scrivere e si annoiano ad adeguarsi al programma del gruppo.

Tutt’altra cosa invece succede con l’educazione parentale, che cerca di conciliare i ritmi dei bimbi tra istruzione e gioco, stimolando le loro capacità: “I bambini per natura sono portati all’apprendimento – prosegue l’ex insegnante – ma a scuola la maggior parte del tempo è utilizzato per tenere insieme il gruppo. Con meno persone, quest’esigenza non c’è e riescono a imparare molto di più in meno tempo”. Alcuni genitori che fanno educazione parentale rispettano il programma scolastico ministeriale, la famiglia Di Martino invece segue un percorso non standardizzato, assecondando gli interessi e le curiosità dei figli. Così la matematica si impara andando a fare la spesa e calcolando il budget che serve per comprare qualcosa, mentre la geografia e le lingue si apprendono viaggiando. E il materiale di studio si può trovare nella vita di tutti i giorni e anche su internet, con video su YouTube e manuali da scaricare gratuitamente. Certo l’impegno per i genitori è tanto, ma “non è necessario essere insegnanti per educare i propri figli. Dove non arriviamo io e mio marito – ammette Erika – possiamo chiedere aiuto o mandare i nostri figli a lezione privata, come fa anche chi li manda a scuola. E poi non bisogna sapere tutto. Bisogna solo avere la voglia di stare a fianco dei propri figli e ascoltare i loro bisogni, le loro domande. Non è importante dare sempre una risposta, ma fornire loro la chiave per trovarla da soli“.

Chi pensa che l’homeschooling sia una possibilità riservata a famiglie benestanti, si sbaglia, chiarisce Di Martino, perché la pratica insegna invece a gestire meglio il denaro ed è basata soprattutto sull’utilizzo dei beni comuni, come le biblioteche e i corsi organizzati dagli enti pubblici. Anche il rischio che i bambini non socializzino con i loro pari è un “mito da sfatare”, perché per quello ci sono le iniziative culturali, le gite, lo sport: “La scuola non serve per la socializzazione, ma per imparare. E in più i miei figli non hanno la pressione dei pari, non seguono le mode o i vizi dei bambini della loro età”. I ragazzi giocano al parco con gli amici, fanno sport e sanno integrarsi con gli altri, ma soprattutto, a detta dell’ex insegnante, riescono a capire chi sono. “A scuola crescono senza scoprire le proprie passioni, perché non viene dato loro il tempo. Sono demotivati dalla standardizzazione, sottoposti a orari prolungati e non hanno più modo di conoscere loro stessi – conclude -. Io invece ogni giorno ripeto ai miei figli che devono capire qual è il loro talento e quali sono le loro passioni. È da qui che comprenderanno cosa vogliono fare nella vita”.

Articolo Precedente

Test Medicina, il numero chiuso viola il diritto allo studio. Chi ne giova?

next
Articolo Successivo

Asili, Uil: “Costano 329 euro al mese in media”. Ma solo il 13% trova un posto

next