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Il colloquio all’Avana tra papa Francesco e il patriarca Kirill, non sarà unicamente un incontro a due. Sullo sfondo c’è un terzo protagonista: Vladimir Putin. Sarebbe ingenuo pensare che l’improvvisa disponibilità del patriarca russo al vertice con Bergoglio non sia connessa anche con la situazione della Russia in questo momento geopolitico: in particolar modo con il ruolo di stabilizzazione della situazione siriana e di argine al terrorismo jihadista, che Mosca intende giocare insieme agli Stati Uniti. Kirill arriva al vertice con il papa cattolico non solo con l’approvazione del Sinodo ortodosso russo (che ad una simile iniziativa si era opposto per decenni), ma anche con l’appoggio reale di Putin.

Mosca – si tratti dell’Unione sovietica o della Federazione russa – ha sempre prestato la massima attenzione all’atteggiamento del Vaticano sulla scena internazionale. Quando Giovanni XXIII lanciò con determinazione il dialogo tra est e ovest, facendo uscire la Chiesa cattolica dall’orbita strettamente atlantica, l’allora leader sovietico Nikita Kruscev autorizzò la partecipazione dei delegati della Chiesa ortodossa russa come osservatori al concilio Vaticano II. Mikhail Gorbaciov, nel pieno della perestrojka, approfittò del millenario del battesimo della Russia per accogliere al Cremlino il segretario di Stato vaticano cardinale Agostino Casaroli e gettare le basi del suo incontro a Roma con Giovanni Paolo II il 1. dicembre del 1989.

Per Gorbaciov era vitale un rapporto positivo con la Chiesa cattolica (oltre che con l’Occidente) per garantirsi un consenso internazionale nella fase difficile di democratizzazione e di trasformazione economica dell’Urss. Fu durante quella visita che Gorbaciov invitò il papa polacco a venire a Mosca. Vladimir Putin, fin dall’inizio dei primi passi di Francesco sulla scena internazionale, ha guardato con estrema attenzione alla visione “multilateralista” del pontefice argentino. Quando nel settembre 2013 si profilava un attacco armato contro la Siria, guidato dagli Stati Uniti, il Papa si rivolse proprio al leader russo in occasione di un summit del G20 a Mosca. Mandò, una lettera per esortare ad una gestione diplomatica della crisi, ricordando che troppi interessi di parte avevano prevalso nella guerra civile in Siria, “impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo”. In ultima analisi la mossa di Bergoglio bloccò una catastrofica invasione americana e favorì l’accordo in sede Onu per lo smantellamento dell’arsenale chimico di Assad.

Ma è soprattutto l’intuizione di Francesco sulla “terza guerra mondiale a pezzi” ad aver trovato a Mosca orecchie attente. Perché la definizione del papa argentino – espressa già nell’agosto 2014 durante il ritorno dalla visita a Seul – riconduce logicamente in una cornice unitaria i vari focolai di terrorismi jihadista e qaedista esplosi in Medio Oriente, nel Maghreb, nel Corno d’Africa e nell’Africa Nera e nella stessa Europa. Di più: Francesco, nel ricordare la legittimità di un intervento per fermare le aggressioni del “Califfato”, ha sottolineato da subito (nella linea di Giovanni Paolo II) che andava escluso ogni azione militare unilaterale , ma che solo le Nazioni Unite potevano (e dovevano) assumersi tale compito. Concetto da lui ribadito nei suoi colloqui politici negli Stati Uniti e nel suo discorso all’Onu nel settembre dell’anno scorso.

Per Vladimir Putin, interessato a riportare la Russia nel “concerto delle potenze” – dopo che Mosca durante la presidenza di Boris Eltsin era stata messa nell’angolo a fronte di una continuo allargamento della Nato nell’Est Europa – la costruzione di un fronte multilaterale per gestire la crisi mediorientale è di grande interesse. E d’altronde, come hanno cominciato a riconoscere gli Stati Uniti, è interesse anche dell’Occidente che si crei un tessuto multilaterale per sconfiggere l’espansione allarmante del totalitarismo terrorista jihadista, che sta provocando un numero impressionante di vittime. Su questa linea sta lavorando d’altronde l’inviato dell’Onu Staffan De Mistura, cercando di tenere allo stesso tavolo anche antichi avversari come Turchia, Iran e Arabia saudita oltre che Assad e i ribelli democratici a lui contrari.

Nell’anno 2016 il vertice all’Avana tra Francesco e Kirill va dunque ben al di là di un rilancio dei rapporti ecumenici e dell’intensificarsi del dialogo tra la Chiesa cattolica e il mondo ortodosso, di cui il Patriarcato di tutte le Russie con 150 milioni di fedeli rappresenta la componente più numerosa.
Il summit tra il pontefice argentino e il patriarca russo si pone al crocevia della grande politica mondiale e l’averlo ottenuto costituisce un nuovo successo della strategia di Francesco e della diplomazia vaticana nutrita della tradizione di Paolo VI e Giovanni Paolo II (da cui proviene il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin).

Tema ufficiale dell’incontro sarà la “persecuzione dei cristiani” nel Medio Oriente e in certe regioni dell’Africa. L’argomento non sarà disgiunto dalle riflessioni geopolitiche su come “fermare l’aggressore” (per usare la terminologia di Francesco). Tenendo presente che il papa ha sempre ribadito che bisogna battersi per la salvezza di tutte le minoranze e comunità di ogni credo, perché “tutti sono figli di Dio”.
Nelle cartelle del Papa e del Patriarca c’è anche un documento, firmato l’anno scorso a Ginevra da 53 stati membri del Consiglio Onu per i diritti umani, sull’esigenza di contrastare la “seria minaccia” alle minoranze religiose e specialmente ai cristiani in Medio Oriente. Firmatari proponenti erano Libano, Santa Sede e Federazione Russa. Una compagnia inedita.

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