Dopo lunga e complicata gestazione la Camera dei deputati ha finalmente il suo nuovo capo ufficio stampa. La travagliata procedura che ha provocato le dure contestazioni di Lega, Forza Italia e Movimento 5 Stelle (non so se nella fretta dimentico altri scontenti) avrebbe dovuto individuare un professionista con le doti e l’autonomia necessarie a gestire quell’ufficio.

In passato non si andava tanto per il sottile. Il presidente della Camera di turno sceglieva direttamente chi più gli piaceva e lo nominava senza tanti complimenti. Di solito erano giornalisti di fiducia e comunque affiliati al partito del potente di turno.

Inutile dire che le critiche fioccavano. Ma così andavano le cose. E sono andate così fino a quando è arrivata Laura Boldrini. Che ha voluto cambiare registro avviando una selezione pubblica. In pratica, questa volta (come nell’altra che qualche anno fa portò alla nomina di Anna Masera) c’era da inviare il curriculum a Montecitorio dove un apposito comitato costituito all’interno dell’ufficio di presidenza è stato incaricato di procedere ad una scrematura che alla fine ha ridotto i papabili ad una dozzina circa. Tra questi la presidente ha estratto il preferito sottoposto poi a votazione dell’alto consesso.

Come abbiamo raccontato, le preferenze della Boldrini sono andate a uno dei vincitori annunciati: Stefano Menichini, ex direttore di “Europa”, organo ufficiale della Margherita e del Partito democratico, da qualche mese parcheggiato al ministero delle Infrastrutture con una ricca consulenza.

Con il dovuto rispetto per lo stesso Menichini e per la presidente Boldrini, tutto questo appare come un grande ritorno al passato. Per nominare Menichini non c’era certo bisogno di passare per una procedura pubblica. Bastava nominarselo direttamente, come nelle legislature scorse hanno fatto Gianfranco Fini o Pierferdinando Casini. Ci saremmo risparmiati tante polemiche e soprattutto si sarebbero risparmiati ai tanti professionisti che hanno posto la candidatura le preoccupazioni e gli assilli legati all’attesa e alla stressante procedura d’esame.

Siamo di fronte ad un ritorno al passato, cara presidente Boldrini perché, con tutta la stima, Menichini è un uomo di partito, di quel Pd che esprime governo, presidente del Consiglio oltre che l’asse portante di quella maggioranza che primeggia nell’aula di Montecitorio e sulle gesta della quale lo stesso Menichini sarà chiamato a comunicare e fornire informazioni dalla carica che lei gli ha appena assegnato. Con quale effettiva autonomia e imparzialità non è dato sapere, vista la situazione e i sospetti manifestati sul tema anche dagli illustri componenti dell’ufficio di presidenza che questa scelta e questa procedura di selezione continuano a contestare.

Ultima annotazione. Qualche giorno fa avevamo fatto notare la discrepanza tra i comportamenti di Camera e Senato sul tema, visto che a Palazzo Madama il presidente Pietro Grasso ha deciso di fare a meno del capo ufficio stampa esterno affidando il compito della gestione dell’ufficio a un funzionario interno. Avevamo suggerito alla presidente Boldrini di fare la stessa cosa. Anche perchè così avrebbe risparmiato i 160mila euro dello stipendio che andranno a Menichini.

Lo avesse fatto ci saremmo risparmiati oltre ai soldi anche tante polemiche e un imbarazzante confronto. Giacché, per quanto riguarda il funzionamento dell’ufficio stampa, anche con il dirigente interno alla testa, a Palazzo Madama comunicazione e lavoro dei giornalisti della struttura sembrano procedere a gonfie vele.

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