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Pensai che ogni mattina si faceva la barba a casa sua. E che sua moglie magari si affacciava in bagno e se lui le dava un bacio lei non si ritraeva, ma rimaneva lì, docile e materna con quel suo pancione che immaginavo immenso. Pensavo che lei probabilmente non si accorgeva nemmeno se lui aveva la faccia insaponata, perché per lei una guancia insaponata non aveva nessun significato. Pensavo che lei non doveva aver mai sentito quella vertigine dolorosa che non mi lasciava un attimo quando lui era vicino a me, e nemmeno la disperazione con cui avevo voluto ritrovare il suo sguardo il giorno che eravamo saliti nella camera dimenticata del collegio. Lei probabilmente non doveva ricacciare indietro le lacrime e fingere di non sentirsi un nodo in gola, quando parlava con lui, quando lui le si avvicinava e lei sapeva che avrebbero finito per fare l’amore. Eppure aspettava un figlio e discuteva con lui del nome da dare a un bambino che un’infermiera avrebbe poi messo in braccio a lui, e anche se fosse stato bruttissimo e incartapecorito, lui non avrebbe saputo accorgersene.

Apparentemente il romanzo dell’esordiente Ilaria Gaspari, Etica dell’acquario (Voland), sembrerebbe l’ennesimo esempio tardo giovanilistico di raccontare come eravamo ai tempi dell’università e come siamo diventati. Quello che rende questa storia un originale esempio di buona letteratura sono lo stile dell’autrice miscelato con lo sviluppo del plot narrativo, mix che riesce a fare di questa opera prima un testo gradevole, maturo con richiami a certa prosa e musica esistenzialista o viandante: mi sono venuti in mente Paul Bowles, Jean Genet e Luigi Tenco. Gaia un giorno d’autunno torna a Pisa, dove ha studiato anni prima, e ritrova vecchi amici e vecchi amori. Apparentemente tutto sembra uguale ad allora, ma a mano a mano che la storia procede il lettore, e con lui la protagonista, si rende conto che è solo un’impressione. Poi Virginia, un’amica di Gaia, muore in modo misterioso e l’inchiesta della polizia fa emergere un mondo oscuro, ossessioni, ricordi mai affrontati.

È una storia che mi appartiene, è una storia che è appartenuta a tutta la mia famiglia. Ho conosciuto durante la mia infanzia e la mia adolescenza, molte delle osterie dell’Oltretorrente, ritrovi dove si organizzavano le rivolte nell’Ottocento e agli inizi del Novecento, le ho conosciute perché mi ci accompagnava mio padre che si incontrava là con gli amici e i compagni di lotta. Dentro di me alberga ancora l’odore di stantio e di muffa, il vociare confuso, le ciotole in cui si serviva il vino: un andirivieni di immagini, odori, sapori che restano, incancellabili, negli archivi della mia memoria.

Con un linguaggio competente e onesto Andrea Cabassi riesce, nel suo secondo romanzo, Traghettando Indipendenze (Fedelo’s Editrice), a parlare di lotta, secessione, dignità, e indipendenze, appunto, senza cadere nella falsa retorica. Un libro a suo modo corale, fantasioso e reale, che abbraccia una non troppo fantomatica spinta secessionista sarda con moti di rivolta a Parma (tra gli echi delle battaglie dell’Oltretorrente) e Barcellona, città di storica anarchica memoria: Buenaventura Durruti e la sua Colonna insegnano. La ricerca di una terra, in qualche modo esistenziale, dove l’esigenza dei popoli sembra quella di una fantomatica autonomia in un futuro che diventa presente, è il filo invisibile che lega questo viaggio tra memoria, storia, cultura e appartenenza.

Schegge di muro volarono dappertutto e caddero sul pavimento, sulle nostre spalle e sulle piante di plastica che decoravano l’atrio. Quando il rumore si spense, dentro alla testa mi rimase un gran fischiare d’orecchie. Tutto intorno c’era del fumo e si sentiva il puzzo acre di polvere da sparo. Un lavoro di mitra. Poco efficace, pensai, ma pur sempre un lavoro di mitra.

Divertenti e adrenaliniche le vicende di Bobby Lago, contrabbandiere uscito dal carcere e in fuga ,suo malgrado, in compagnia di un paio di rapinatori. Deve molto agli hard-boiled a stelle e strisce l’ultimo lavoro dello scrittore parmigiano Giovanni Bertani, Il Grisbì (Edizioni Forme Libere), storia di un inseguimento, come nella più classica delle narrazioni del genere, dove poliziotti corrotti, trafficanti senza cuore e donne pistolere si scontrano fino al gran finale. Tipicamente emiliana l’ironia e la sagacia con cui l’autore tratteggia i suoi personaggi rendendoli credibili e autentici.

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