È tutto un tripudio di abbracci, di complimenti reciproci palesemente fasulli come le creme dimagranti alle alghe di Wanna Marchi, di “come sei dimagrito” o “ti trovo in splendida forma”. È il primo giorno di “scuola” dei giornalisti nell’affollata Sala Stampa del Teatro Ariston di Sanremo, uno dei posti migliori per studiare antropologicamente e sociologicamente il mondo del giornalismo italiano e tracciarne un profilo accuratissimo. Per carità, i giornalisti che si occupano di spettacolo non rappresentano tutta la categoria, ma sicuramente la parte più interessante da osservare e da raccontare, non fosse altro perché, stando sempre a stretto contatto con divi e star, a volte ci si sentono un po’ anche loro.

E ogni anno, osservando i volti dei tanti accreditati all’Ariston, ci si rende conto di come saranno le firme prestigiose di domani. Cominciamo col dire che esiste una netta distinzione tra vecchi leoni e giovani gazzelle. I primi sono i “mostri sacri” del settore, vere e proprie Pizie in questo tempio paganissimo di musica e lustrini. Come le sacerdotesse di Apollo al Santuario di Delfi, infatti, anche i vecchi leoni del giornalismo di spettacolo hanno il potere di decretare il futuro delle carriere di chi viene a Sanremo. Sono lì, tra la prima e la seconda fila della Sala Stampa, a presidiare un territorio che ormai alcuni lustri fa hanno conquistato con fatica e che non hanno alcuna intenzione di mollare. Sarà probabilmente l’inesorabile natura a operare il ricambio generazionale, anche se qualcuno sembra destinato all’immortalità.

Dalla terza fila in poi, ecco il gruppone di giovani gazzelle. Hanno voglia di sgroppare in questa sconfinata savana fatta di ultraleggerezza spinta e sono molto più numerose dei vecchi leoni che presidiano le prime file. Ma sono comunque gazzelle, e gli altri pur sempre leoni. Ogni tanto vanno a sondare il terreno, ma non si spingono troppo oltre, stando attente a non svegliare i sonnacchiosi felini, ancora capaci di zampate letali.

In questa storia di predatori e prede, però, c’è qualcosa che va oltre la natura stessa. Perché l’obiettivo delle agili gazzelle, in fondo, è quello di trasformarsi in leoni quanto prima, conquistare il posto al sole tanto agognato e poi fare lo stesso con le gazzelle che verranno. Roba che nemmeno sir David Attenborough saprebbe spiegare, ma che esiste sul serio, è qui, tra i banchi della Sala Stampa. È una sorta di anno scolastico che dura una settimana, quello iniziato ieri e che terminerà domenica all’ora di pranzo. Per 51 settimane ognuno fa il suo, spesso ci si incrocia a quella conferenza stampa o a quell’altra finale di talent. In realtà trattasi di 51 settimane di attesa, perché la scuola vera comincia a febbraio, il solito corso intensivo di giornalismo e di vita, le cui lezioni spesso spiegano cosa NON fare.

Il primo giorno ci si abbraccia tutti forte forte. Gente che si detesta da anni chiacchiera amabilmente tra l’ennesimo caffè e una sigaretta sfumacchiata sul terrazzo. La consueta distinzione tra destra e sinistra si annulla sotto l’effetto salvifico del carrozzone sanremese. Dal secondo giorno in poi, però, la situazione è quella di una normale classe scolastica. Si fa gruppetto: tizio parla sempre con caio; sempronio è più solitario e taciturno, fa il suo, raccoglie le sue cose e torna a casa. C’è chi è più discolo e cazzeggia assai, perché in fondo si è a Sanremo per raccontare il Festival, mica il summit tra Stati Uniti e Corea del Nord sul disarmo nucleare.

Ci sono le piccole invidie, le piccole gelosie. Qualcuno prova a “copiare” (non letteralmente, tranquilli, non si è ancora arrivati a questo punto), qualcun altro fa il brillantone e quando il maestro Conti prende posto alla cattedra comincia ad alzare la mano per dimostrare di saperle tutte. Per sette giorni, ventenni rampanti e ottantenni traballanti si danno del tu, con i primi che una volta tanto provano a stare alla pari. E i vecchi leoni, che non hanno perso la zampata letale ma forse un po’ di fame sì, li lasciano fare. Sono innocue, le agili gazzelle. In fondo ci sarà tempo anche per loro. Forse.

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